Il Tor des Géants, con i suoi 330 km sulle Alte Vie della Valle d’Aosta, è una delle gare trail più lunghe al mondo. Franco Faggiani, scrittore e giornalista, ha deciso di completarlo non di corsa, ma seguendo il suo ritmo, per poi raccontare la sua esperienza nel libro “Sui sentieri del Tor. Viaggio lento nei luoghi del leggendario trail” pubblicato da Terre di mezzo. Lo abbiamo intervistato per farci svelare qualche curiosità e retroscena della sua avventura, buona lettura!
Cosa rende il Tor des Géants una delle corse in montagna più affascinanti al mondo?
Diversi elementi; prima di tutto l’ambiente naturale incomparabile: si fa tutto il periplo della Valle d’Aosta restando ad alta quota e scoprendone gli angoli più segreti. Poi l’impegno, la sfida con se stessi, perché si tratta di un endurance-trail, come viene chiamato, lungo 330 km da fare tutti di fila, con 24 mila metri di dislivello, vale a dire tre volte l’Everest, e tutto in 150 ore al massimo. Il vincitore in genere ci mette la metà del tempo e non dorme mai!
Perché hai scelto di ripercorrerlo a passo lento e cosa pensi che la lentezza possa regalare a questa esperienza?
Avevo già fatto più volte il percorso, ma a tratti separati e partendo da valli diverse, sempre per accompagnare nei suoi punti cruciali alcuni gruppi di giornalisti intenzionati a seguire la gara. Poi, un paio di anni fa mi è venuta voglia, proprio a gara finita, di fare da solo il giro per intero per assaporare la quiete, il silenzio, i colori nuovi e la bellezza degli ambienti naturali poco prima del loro lungo letargo invernale. Era fine settembre, ovvero il termine dell’estate, ma in quota i rifugi chiudevano e c’era già la neve in agguato.Andare con lentezza, che è ormai una mia scelta precisa quando mi immergo nella natura, permette di fare una grande cosa che se vai di fretta non fai: osservare. E osservare porta non solo a notare cose nuove, ma anche a rifletterci su, a pensare, alla fine a meditare. Mi ero sempre chiesto cosa facessero in pratica tutti quelli che dicevano di meditare. Ecco, ho scoperto il mio metodo: osservare con attenzione.
Raccontaci il territorio che il Tor des Géants attraversa, che tipi di paesaggi hai visto?
Si penetra nel mondo selvaggio delle terre alte, si sta per gran parte del tempo oltre i duemila metri di quota, e si scavalcano anche un paio di colli superiori ai tremila metri. E, va detto, senza pericoli, se non quelli causati del clima che può cambiare improvvisamente. I sentieri del Tor sono ben tracciati e super segnalati quindi, con un minimo di allenamento, percorribili da tutti. I paesaggi sono mutevolissimi nell’arco di una stessa giornata, si va dai borghi ai ghiacciai, passando per i boschi, i valloni solitari, le creste panoramiche. E poi si transita al cospetto dei Géants, dei Giganti, che sono poi Il Monte Bianco, Il Gran Paradiso, il Monte Rosa e il Cervino, per citare quelli più noti.
Nel libro parli di dieci cose da sapere a proposito dei rifugi. Vuoi parlarci delle più importanti e raccontarci cosa provi tu quando dormi in un rifugio? Qual è la cosa che ami di più di questa esperienza?
Moltissime persone, che niente o poco hanno a che fare con la montagna, pensano che il rifugio sia un albergo, o credono di trovarsi in un ristorante tipico. Inorridisco a vedere certi comportamenti scandalizzati o certe richieste riguardanti il soggiorno o il servizio a tavola, gli orari da rispettare, il consumo d’acqua regolato, il bagno in comune e altro ancora. Poi c’è gente che prenota e poi non si presenta proprio, senza rispetto per chi lavora in condizioni mai facili. Nel rifugio invece si è ospiti di amici che hanno per prima cosa a cuore la nostra protezione, dove ci si riposa e ci si ripara (non a caso si chiama rifugio) e ci si deve adeguare ai ritmi e alle necessità di chi lo gestisce. Non viceversa. La cosa che più mi piace dell’andarci è incontrare le persone che condividono i miei stessi principi e fare magari un tratto di strada insieme e, naturalmente, svegliarmi all’alba, uscire e trovarmi in contesti naturali spesso unici.
Tre consigli pratici che daresti a chi, come hai fatto tu, desidera fare questo straordinario percorso a passo lento.
Avere nello zaino l’abbigliamento adeguato per proteggersi dai cambiamenti climatici che possono essere drastici anche nell’arco di una stessa giornata e portare sempre una scorta d’acqua. Gli atleti del Tor corrono con uno zainetto minuscolo solo perché possono trovare un assistente in punti prestabiliti e perché gli organizzatori provvedono a trasportare il loro bagaglio completo lungo tutto il percorso; ma se si va da soli o in piccoli gruppi bisogna portarsi tutto dietro e questo… pesa. Poi occorre prenotare per tempo rifugi e piccoli alberghi dove si prevede di sostare, perché gli spazi sono sempre ristretti e in più c’è da tener conto delle chiusure stagionali. Io per precauzione avevo portato anche una piccola tenda, e qualche volta l’ho usata. Infine è doveroso informarsi sempre sul meteo del giorno e lasciar detto a qualcuno (rifugista, albergatore, amico) il tratto che si intende seguire. In caso di difficoltà non bisogna mai lasciare il sentiero perché comunque di lì qualcuno passerà. Se si taglia per i boschi o ci si infila in qualche vallone sconosciuto con l’idea di arrivare prima, si può andare incontro a guai seri.
Raccontaci l’incontro più emozionante che hai vissuto durante questo viaggio a piedi.
Tutti gli incontri che ho fatto sono stati emozionanti perché “non programmati”. Ho rivisto, solo per merito della buona sorte, alcune persone che avevo conosciuto al Tor negli anni precedenti, magari tra le fila dell’organizzazione, oppure come atleti o volontari. Invece nel mio tour solitario li ho ritrovati, davvero per caso, nella loro veste abituale: albergatori, malgari, allevatori, contadini. Bello fare un sentiero o fermarsi in un bar e trovarseli di fronte, magari a distanza di anni.
Nei giorni che precedono il Tor des Géants, in Valle d’Aosta si radunano atleti da tutto il mondo e anche gli spettatori sono moltissimi. Ci vuoi raccontare qualcosa sulle atmosfere che si respirano prima della gara?
L’atmosfera è decisamente magica, vivace, colorata. Sembra di essere a una grande festa all’aperto, a un Carnevale di Rio in alta quota. In giro per Courmayeur, dove ci si trovano la partenza e l’arrivo, ci sono atleti, familiari e accompagnatori di oltre 70 nazioni, alcune delle quali davvero minuscole. Diciamo la verità, la Repubblica di Vanuatu, che è uno Stato insulare in mezzo all’Oceano Pacifico, chi l’aveva mai sentita nominare? Ci sono stati partecipanti provenienti anche da zone difficili, come la Siria, la Palestina, Israele, e certi Paesi del Sud America. Bravi sono stati gli organizzatori che hanno saputo, negli anni, aggiungere al Tor “classico” anche altre gare, per favorire chiunque arrivi da lontano e voglia correre tra questi paesaggi alpini. Non solo aumentando la distanza, come con il Tor des Glaciers, il giro dei ghiacciai, lungo 450 chilometri con 32 mila metri di dislivello, ma anche diminuendola. Per esempio, nel 2024 è prevista una gara di “soli” 100 km che va dal Cervino al Monte Bianco, e poi c’è sempre il Passage du Malatrà, che è un luogo incredibilmente suggestivo. Questo tracciato è lungo una trentina di chilometri. Potrei farcela persino io!
A Fa’ la cosa giusta! verrai a presentare il libro. Vuoi raccontarci con chi sarai all’incontro e perché un visitatore della fiera non dovrebbe perdersi questo evento?
Ho chiesto a Ruggiero Isernia di venirci a raccontare le sue esperienze al Tor, davvero notevoli. Ha partecipato ad almeno una decina di edizioni, (ho poi perso il conto) portandole tutte a termine, poi ha smesso. Non perché stanco, figuriamoci, ma perché nel frattempo gli organizzatori avevano varato, negli stessi giorni, il Tor des Glaciers, appunto. Così Ruggiero ha pensato bene di partecipare a questa nuova avventura. Si vede che quei 330 chilometri precedenti gli sembravano pochi, e così… Oltretutto, in anni recenti, ha fatto delle attività della montagna il suo mestiere. Ora è Accompagnatore di media montagna, Istruttore di cicloturismo sportivo e componente dell’International Mountain Leader, che è una specie di supermaster per chi decide di condurre la gente nella natura, con estrema attenzione verso i dettagli organizzativi e della sicurezza. Insomma, non c’è personaggio migliore per raccontare il Tor e l’escursionismo in alta quota, ed è proprio per questo che l’incontro a Fa’ la cosa giusta! diventa imperdibile!
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