Tanti riccioli e una vera passione per il disegno! Dalla sua amata città, Genova, Elisabetta Civardi, illustratrice educatrice, ci racconta come è nato l’albo Quando gli animali non avevano la coda, scritto da Anselmo Roveda, in uscita in questi giorni. Buona lettura.
Elisabetta, raccontaci di te
Come mi capita spesso di dire ai bambini, quello che mi definisce meglio sono i miei capelli ricci. Molto ricci. Non è possibile non identificarmi anche da lontano! Questa capigliatura mi ha creato un sacco di problemi quando ero piccola, e forse proprio per questo mi sono rifugiata nel mondo del disegno e dei racconti, che invece mi facevano stare a mio agio, e dimenticavo per un po’ di aver meritato il soprannome di Pierina Porcospina.
Così, per colpa della “Comune anarchica che ho in testa”, come la definisco io, mi ritrovo ad avere un’indole timida ma allo stesso modo esuberante. Sono una solitaria che ama stare in mezzo alla gente: ho sempre preso l’iniziativa nel proporre giochi agli amici coetanei, e mi sono ritrovata a raccontare storie, e questo nel tempo è diventato il mio lavoro, come educatrice.
Abito a Genova, in un ex-convento; condivido gli spazi con un musicista, una burattinaia, una costruttrice di giocattoli, uno scrittore e altri, ci sono anche due bambini; è difficile trovare un po’ di solitudine, in compenso abbiamo trascorso una quarantena molto particolare.
Amo Genova, che è ancora la città dei collage di Emanuele Luzzati: piani e superfici merlettate che si sovrappongono in verticale con presenze contemporanee di ponti e cavalcavia.
Amo molto le città d’arte e quindi in generale l’Italia ma, quando posso, mi rifugio in solitaria su uno scoglio selvatico affacciato sul mare.
Come e quando ti sei avvicinata all’illustrazione?
Disegno da sempre, e da sempre amo i colori. Mia madre racconta che un giorno, quando avevo tre anni, mi trovò molto concentrata e silenziosa, mi chiese allora a cosa stessi pensando e io risposi: “AL VERDE PISELLO”.
In prima elementare ho iniziato a realizzare libricini per i miei compagni, si intitolavano “Fantasmucci”, con i fantasmi era facile riprodurre i personaggi sempre uguali. Solo negli ultimi anni del liceo artistico ho capito che mi interessavano gli albi illustrati, ma la strada è stata molto lunga prima che realizzassi che era quello che veramente desideravo fare nella vita.
Raccontaci del tuo libro Quando gli animali non avevano la coda, scritto da Anselmo Roveda
Quando gli animali non avevano la coda -o il “libro delle code” come l’ho chiamato per molto tempo- è nato come progetto di tesi del Master di Ars in Fabula a Macerata. Grazie a Mauro Evangelista, ho capito “a suon di botte” metaforiche quale era la mia strada da illustratrice; ho trovato lentamente la sintesi e il linguaggio che volevo creare per i dieci animali che raccontano questa leggenda di origine africana.
Non sapevo che fosse un racconto africano, però mi colpì da subito la sua freschezza e semplicità. Così per accentuarne l’ironia non ho voluto situarlo in un luogo o tempo mitologico ma nell’oggi: fa ridere pensare al cavallo che seduto al bar prova a leggere il giornale infastidito dalle mosche. Inoltre volevo omaggiare la mia città, per cui gli sfondi nascono da disegni fatti in strada, che poi ho mixato con foto di città francesi che amo.
Per un anno ho lavorato a Quando gli animali non avevano la coda senza sapere il nome di chi avrebbe curato la parte scritta. Poi, casualmente, ho saputo di Anselmo, genovese come me e che conosco da prima che prendessi seriamente il disegno.
Credo che il dialogo con lui sia stato più o meno questo:
“Cosa combini col disegno?”
“Lavoro su un racconto di animali, parla del perché gli animali hanno la coda.”
Ne è seguito un confronto sulla storia, allora ho mandato via mail il mio lavoro ad Anselmo. Credo gli sia piaciuto da subito.
Parlaci del tuo lavoro come curatrice di laboratori e del loro rapporto con l’illustrazione
Da più di quindici anni conduco laboratori artistici per bambini ma anche per adulti e occasionalmente tengo incontri di formazione per gli insegnanti sul metodo che ho affinato.
Ho un approccio apparentemente molto libero: per lasciare i bambini (e in generale le persone), liberi di esporsi e aprirsi senza giudizio, creo un setting curato, con tempi e materiali ben precisi; pongo dei confini dentro i quali i bambini possono fare quello che vogliono, così rassicuro e contengo senza che l’esperienza sia limitante.
In questo processo l’albo illustrato è molto importante, lo uso sempre come trasmettitore di contenuti e spunto per la tecnica. I racconti diventano l’innesco per l’auto-narrazione dei partecipanti, sia per immagini sia attraverso le parole o il corpo.
Ho lavorato in tantissimi contesti, ma nel cuore porterò sempre i bambini del centro servizi del Comune di Genova e i papà incontrati in un percorso di genitorialità nelle carceri della mia città.
La mia esperienza è stata fondamentale per la ricerca dello stile delle mie illustrazioni: dovevo cercare un linguaggio libero ed emotivo, ma allo stesso modo curato e ricco di particolari. Ho provato a mixare quello che vedo osservare ai bambini: forme gentili, colori accattivanti e ricchezza di piccoli dettagli. Spero di esserci riuscita.
Quali sono le tecniche artistiche che prediligi?
Per anni ho provato tutto, amo il pennello quando lascia i primi segni sul foglio, siano essi sporchi o nitidi e puliti.
Mi piacciono sia le tecniche pittoriche sia quelle grafiche, ma soprattutto il collage mi aiuta a trovare forme e ragionare sulla composizione.
Lavorare con china ed ecoline per Quando gli animali non avevano la coda è stata un po’ una scommessa; ora amo molto lavorare con l’acqua, la macchia e, solo in un secondo momento, aggiungo piccoli segni grafici per i dettagli.
Parlaci del tuo studio e del luogo dove solitamente lavori
Da gennaio condivido lo spazio di Agrumi Studio con Letizia Iannaccone; quando mi ha chiesto di unirmi a lei credo di avere accettato per la sobrietà ma allo stesso tempo la cura per i diversi dettagli: stanze molto bianche ricche di particolari gialli e arancioni.
Da persona disordinata e dispersiva, ricerco luoghi che conciliano e aiutino la concentrazione. Quando gli animali non avevano la coda, però, è nato in occasione di due diversi soggiorni nel bosco di Prepranda, sopra Savona. Qui si trova una casa ritiro per ballerini e karatechi dove trovo ospitalità e tranquillità quando non c’è nessuno.
Ero con Daniela Carucci (autrice di Ruggiti per Sinnos edizioni), le giornate scandite fra lavoro intenso, passeggiate al faggeto e caffè in paese. Il confronto tra le arti è sempre molto prolifico.
Progetti e desideri per il futuro?
Il sogno che ho nel cassetto e al quale ho iniziato a lavorare con energia è diventare un’autrice completa: ossia trovare racconti per i miei “animaletti”, storie per immagini e parole che possano attingere direttamente dalla mia esperienza con i bambini.
Racconti sul limite tra fantasia e realtà, che aiutino i genitori e i bambini in modo lieve e ironico.
Delle “pacche sulle spalle”, più che dei veri insegnamenti.
Poi vorrei raggiungere una piena autonomia nel mio lavoro a metà tra il disegno e i laboratori artistici e magari trovare una casetta per accontentare la me-solitaria.