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Intervista a Andrea Ciucci. Storie di intelligenze umane e artificiali

“L’Intelligenza artificiale non è il futuro ma il presente”, per questo abbiamo deciso di dare vita a “Umanità digitali”, una nuova collana all’interno del nostro catalogo. Racconti di viaggio in prima persona dei protagonisti della rivoluzione tecnologica in corso. “Scusi, ma perché lei è qui?” è il primo libro: un viaggio in prima persona dalla periferia di Roma al Vaticano e ai centri di ricerca dove si sviluppano e si decidono alcuni dei programmi di più grande impatto per l’umanità, dalla medicina al cibo, dalla democrazia all’arte. Abbiamo chiesto all’autore Andrea Ciucci di dirci il perché oggi questi racconti sono necessari. Buona lettura!

Il libro “Scusi, ma perché lei è qui?” contiene una raccolta di storie, scegli quella a cui sei più affezionato e raccontaci alcuni tratti salienti.

Il più incredibile ed efficace strumento tecnologico che ho potuto vedere all’opera e toccare con mano, presentatomi dal suo geniale ideatore è… uno sgabello di legno! Lo ha studiato, progettato e realizzato il prof. Bruera, uno dei massimi esperti al mondo di cure palliative. Nel futuristico centro che dirige nel Medical Texas Center di Houston, fucina di premi Nobel, hanno lavorato per anni per capire come aiutare e sostenere i pazienti spesso nella fase terminale della loro vita. Hanno sperimentato farmaci innovativi e protocolli geniali e particolarmente efficaci, ma la cosa di cui vanno più fieri è proprio questo sgabello, la cui altezza è pensata perché il volto del medico che si siede sopra durante un colloquio sia esattamente allo stesso livello di quello del suo paziente. Perché, dice Bruera, ci sono cose che non si possono dire dall’alto in basso, ma solo guardandosi negli occhi. Questo profilo squisitamente umano della ipertecnologica medicina contemporanea, questa mettere al centro l’uomo, dicono bene il senso del lavoro che racconto in questo libro.

Sei coordinatore dell’ufficio centrale della Pontificia accademia per la vita: raccontaci cosa prevede il tuo lavoro.

La Pontificia Accademia per la Vita è costituita da 160 grandi scienziati provenienti da tutto il mondo. È stata fondata da Giovanni Paolo II 28 anni fa su suggerimento di Jerome Lejeune (il grande genetista francese scopritore della trisomia alla base della sindrome di Down) per radunare soprattutto ricercatori dell’area bioemedica e offrire un luogo di elaborazione per le grandi tematiche bioetiche connesse alle questioni del nascere e del morire. Nel 2016 Papa Francesco l’ha riformata chiedendo un duplice allargamento: di temi e di componenti. La vita umana, infatti, non è questione importante solo per il mondo cattolico ma per ogni abitante di questo pianeta e non può essere risolta solo nei primi e negli ultimi cinque minuti. Per questo duplice motivo oggi gli scienziati che compongono l’Accademia appartengono a tutte le tradizioni religiose e culturali e afferiscono ai più diversi campi scientifici e culturali (medici, filosofi, biologi, giuristi, sociologi, ingegneri, matematici, teologi, ecc). L’ufficio centrale romano e la presidenza che lo dirige sono a servizio del lavoro di questo gruppo di grandi personalità, ricevendo e proponendo temi e questioni, organizzando gruppi di lavoro comuni, promuovendo la riflessione scientifica e il dibattito culturale che ne scaturisce. Coordinando il lavoro di questo piccolo ufficio ho l’occasione quasi quotidiana di incontrare questi e altre grandi figure di ricercatori, di ascoltare il loro lavoro e i loro input, di dare forma progettuale a intuizioni e preoccupazioni. Insieme elaboriamo e realizziamo progetti di ricerca, promuoviamo la collaborazione tra enti universitari e accademici, organizziamo congressi e giornate di studio, editiamo pubblicazioni e costruiamo percorsi comunicativi. Tutto questo lo facciamo a livello globale (ogni giorno faccio il giro del mondo con i contatti che realizzo) e come chiesa cattolica (siamo un ufficio vaticano!), consci (e grati!) che il Vangelo ci spinge ad un’appassionata custodia della vita umana che trova nella ricerca scientifica uno dei suoi ambiti più efficaci e, al contempo, più complessi.

Perché dobbiamo parlare di intelligenza artificiale oggi?

Perché non possiamo non farlo, perché dobbiamo discutere, e conoscere e approfondire e discernere, tutto ciò che segna la nostra vita.

Le parole “intelligenza artificiale” sembrano indicare qualcosa del futuro. Non è così. È il presente delle nostre esistenze.

Forse non ne siamo consapevoli, ma è grazie ad algoritmi (quello che potremmo definire il motore di ogni sistema di intelligenza artificiale) che noi riceviamo risposte positive o negative su una richiesta di un mutuo per la casa o vediamo pubblicità personalizzate sui nostri schermi. Sono solo due esempi tra i molti che ci permettono di capire quanto i sistemi tecnologici attuali siano incredibilmente potenti e pervasivi. Per questo dobbiamo parlarne. Anzitutto per maturare una consapevolezza tanto necessaria quanto ancora estremamente debole; in secondo luogo, per elaborare e indirizzare scelte politiche e morali atte a sostenere un utilizzo giusto e rispettoso di ogni vita umana, dell’intera società, del pianeta che abitiamo.

Il libro parla dell’impatto delle nuove tecnologie sulla vita delle persone. Come possiamo preservare e custodire l’umano in noi?

Spesso vediamo la tecnologia come una minaccia per l’uomo, sostenuti da immaginari fantascientifici o da report che annunciano la fine della civiltà umana a favore di una nuova era delle macchine. Da qui la preoccupazione di preservare e custodire l’umano indicata in questa domanda. In realtà non è questo il nostro primo approccio con i diversi manufatti tecnologici che utilizziamo quotidianamente. Siamo ben più fiduciosi (forse troppo) delle loro potenzialità e li usiamo continuamente senza troppo pensarci. Non abbiamo nessuna paura a seguire le indicazioni del navigatore del nostro smartphone o a farci idee su temi importanti grazie a testi reperiti in rete. Potremmo dire che la preoccupazione viene dopo, quando si acquista appunto consapevolezza di quello che c’è dietro e dentro queste tecnologie. Alcuni reagiscono con toni apocalittici, evidenziando il rischio di una tecnologia che, neanche troppo lentamente, trasforma e modifica l’uomo, la sua libertà, il suo corpo, fino quasi a cancellarli. Altri, e io fra questi, preferiscono una riflessione più articolata e avvertita, che considera la tecnologia sempre e comunque uno strumento in mano nostra e sotto la nostra responsabilità. Da qui la necessità di una roboetica e di un algoretica (sono due neologismi nati nel nostro lavoro), ovvero di un’etica non dei robot o delle macchine ma degli uomini e delle donne che li progettano e li utilizzano. La peculiarità della tecnologia contemporanea, la sua incredibile potenza e pervasività, rendono questa riflessione morale particolarmente difficile e complessa: ci è chiesto un surplus di attenzione e di riflessione condivisa. Questo è l’umano che siamo chiamati non tanto a preservare (quasi che fosse un’idea astratta e statica) quanto a esercitare con responsabilità e saggezza.

Davanti all’enorme potenza delle macchine non dobbiamo smettere di essere uomini.

“Scusi, ma perché lei è qui?”: com’è nato il libro?

Spesso dico di essere un uomo fortunato. Non avrei mai immaginato di poter conoscere persone e realtà così eccezionali, di poter affrontare temi decisivi per la vita degli uomini e delle donne con i massimi esperti del campo, di poter lavorare a livello planetario incontrando culture e tradizioni così ricche e diverse, di servire il Vangelo in questo modo così particolare. Prima di diventare un libro, i racconti di questa straordinaria avventura che mi è data di vivere sono stati al centro di tante e diverse conversazioni. Molte volte mi è stato chiesto cosa ci fa un prete in questo mondo e ho dovuto rendere ragione dell’impegno mio e di tutta l’Accademia. Così è capitato che in una di queste chiacchierate tra amici fosse presente anche un editore che mi ha detto: queste storie meritano un pubblico più ampio. Così è nato il libro.

“Scusi, ma perché lei è qui?” è il primo libro della collana “Umanità digitali”: racconti di viaggio in prima persona dei protagonisti della rivoluzione tecnologica in corso. Perché ritieni che questi racconti siano necessari?

Di saggi sulla rivoluzione tecnologica che viviamo sono pieni infiniti scaffali di librerie, fisiche e virtuali. Chi poi è abituato a frequentare le riviste scientifiche sa bene che su ogni minimo argomento sono state scritti milioni di parole. Meno indagato è invece il rilievo personale che sottende ogni ricerca scientifica e che colloca in modo proprio la questione etica e culturale che di fatto emerge nel libro. Se il nostro compito è quello di custodire la centralità dell’umano nella nostra esperienza, se la sfida che ci è posta oggi è quella di rimanere uomini anche nell’entusiasmante e coinvolgente mondo della tecnologia, allora le storie e i racconti diventano decisivi. Motivazioni e scelte, bilanciamenti e compromessi, genialità e sistematicità, sono tutti elementi che mostrano la responsabilità e la passione con cui gli scienziati di oggi interpretano il loro lavoro e lo mettono a servizio dell’umanità. Proprio di responsabilità e di passione vorrei che parlassero i libri di questa collana.

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    Terre di mezzo editore è una casa editrice fondata a Milano nel 1994.
    Pubblica ogni anno più di 100 titoli. Tra le collane principali ci sono: L’Acchiappastorie albi e narrativa per bambini e ragazzi, i Percorsi a piedi e in bicicletta, I Biplani, racconti di grandi autori illustrati da artisti di fama, i manuali creativi delle Ecofficine.
    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

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