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Racconti come schegge

L’esordio di Deborah Willis, autrice canadese classe 1982, ha colpito Alice Munro (“La gamma emotiva e la profondità di queste storie, la chiarezza e l’abilità compositiva sono stupefacenti”) e non può lasciare indifferenti: “Svanire” (Del Vecchio) raccoglie 14 racconti affilati come schegge su gente che scompare lasciandosi tutto alle spalle, su amori che si sfilacciano, su incomprensioni tra padri e figli e così via. Un libro che anche Paolo Cognetti ha segnalato tra i migliori usciti negli ultimi tempi.

I tuoi racconti hanno a che fare con chi sparisce, con le persone che non ci sono più, ma anche con il dolore di chi resta. Perché hai deciso di lavorare proprio su questo tema?

Non è che abbia deciso di lavorare sul tema della sparizione – mi sono ritrovata a lavorarci senza rendermene conto. Il mio editor ha sottolineato che tutti i miei racconti sembravano avere a che fare con questo argomento, ed è a quel punto che abbiamo deciso il titolo. Mi ricordo di essermi sorpresa perché io ho semplicemente scritto, in un periodo di sei anni, senza pensare a come le storie sarebbero state insieme. Non sono sicura che il soggetto mi interessasse tanto all’epoca, e mi interessa poco ora. Credo di aver lavorato su queste particolari ansie mentre scrivevo il libro. Mi piace pensare che la scrittura porti a una trasformazione, per lo scrittore e, in alcuni casi speciali, per il lettore. Credo che scrivere di determinate paure o dubbi o preoccupazioni possa forse alterarli, o permettere allo scrittore di conviverci con maggiore serenità.

Nelle tue storie spesso è l’amore che non funziona, parli delle fragili relazioni tra le persone. Ogni tanto sono quasi certo che le persone non siano fatte per vivere insieme, ma di solito non possono evitare di farlo. Che ne pensi?

Con un amico parlavamo del viaggio che ad aprile dovrei fare in Italia per presentare il libro, e stavamo cercando frasi italiane che sarebbe bene conoscessi. Molte di queste avevano un senso (“Grazie per aver assistito al mio reading”), ma poi abbiamo iniziato a cercare frasi scherzose, come “Oh, per favore, comprate il mio libro!” oppure “No, non sono cinica sull’amore”. Racconto questo aneddoto perché è vero: non sono cinica riguardo all’amore. Né sono romantica – ho visto fallire troppe relazioni per esserlo. Ma credo che, nonostante tutte le difficoltà, le relazioni (romantiche o di altro tipo) siano quello che rendono la vita degna di essere vissuta. Che cliché! Ma sarebbe difficile dirlo diversamente. I legami sono probabilmente il senso della vita.

Nel racconto “Fuga”, che è uno dei miei preferiti, a un certo punto uno dei personaggi dice che certe persone non possono permettersi di andarsene anche se lo vorrebbero, perché magari, come nel suo caso, hanno un figlio, un ex marito da cui aspettano dei soldi eccetera. Pensi che le persone non siano davvero libere di decidere del proprio destino, come invece ci avevano raccontato?

Penso che per molti di noi la vita sia una cosa che accade. Facciamo delle scelte, ma le facciamo all’interno dei limiti dati dal tempo e dal luogo dove siamo nati, da chi abbiamo incontrato, e così via. Quel racconto è stato scritto in parte dopo che firmai il contratto per il libro ed ero straconsapevole della fortuna che avevo avuto nell’ottenerlo e delle scelte che avrei dovuto fare per finire il manoscritto e godermi la mia fortuna. Quindi credo di essere arrivata a una mediazione: noi non scegliamo il nostro destino, ma molti di noi hanno ancora delle incredibili libertà all’interno dei limiti delle loro vite.

Se non sbaglio lavori in una libreria. Quando scrivi? E quali sono le tue regole di scrittura?

Ho lavorato in una libreria per sette anni e ho scritto la maggior parte dei racconti di “Svanire” in quel periodo. Era un lavoro perfetto, perché ero circondata dai libri e da persone meravigliose (i miei colleghi e in particolare il mio capo mi sostenevano tantissimo come scrittrice). E non era un lavoro che mi chiedeva troppo; quando finivo di lavorare ero libera di pensare ad altre cose. Di solito scrivevo al mattino, e nei miei giorni liberi.
Adesso sono writer-in-residence all’Università di Calgary in Canada, ed è una situazione completamente diversa, ma altrettanto gradevole. Ho tempo per scrivere (scrivo ancora al mattino) e anche per incontrare altri scrittori che partecipano ai reading e così via. Avere una sorta di ritmo lavorativo o di routine mi aiuta. Mi permette di incontrare persone e di uscire di casa e di non restare troppo arrotolata nelle mie ossessioni! È una cosa molto buona avere un’altra vita quando quella legata alla scrittura non va bene.
Per quanto riguarda le regole, cerco di non impormene troppe. Penso che l’editing sia sottovalutato e forse la parte più importante del processo. Di solito taglio più di un quarto di quello che scrivo perché non è necessario al racconto finale. Quindi credo che la mia regola sia che bisognerebbe fidarsi dei lettori e che non è necessario spiegargli le cose. L’essenzialità è quello a cui punto.

Stai lavorando a un nuovo libro?

Sto lavorando a un’altra raccolta di racconti, e non sono del tutto sicura di cosa li leghi. Ma sembra che io scriva sempre del tempo. Il modo in cui il tempo passa nelle vite delle persone e le cambia.

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  • Terre di mezzo

    Terre di mezzo editore è una casa editrice fondata a Milano nel 1994.
    Pubblica ogni anno più di 100 titoli. Tra le collane principali ci sono: L’Acchiappastorie albi e narrativa per bambini e ragazzi, i Percorsi a piedi e in bicicletta, I Biplani, racconti di grandi autori illustrati da artisti di fama, i manuali creativi delle Ecofficine.
    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

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