Intrappolati nelle loro vite “a schiera” in quel di Cortesforza, centro residenziale immaginario ma fin troppo reale alle porte di Milano, i personaggi di L’ubicazione del bene (Einaudi), secondo lavoro di Giorgio Falco dopo il precedente Pausa caffé (Sironi), lottano per restare a galla, alla ricerca di un “bene” che non riescono a trovare.
Scrivi che Cortesforza è “qualsiasi luogo”. Perché?
Cortesforza è la rappresentazione di tutti i possibili luoghi suburbani, costruiti sul modello americano adattato al territorio italiano: dipendenza dall’auto, dispersione abitativa che coincide con una dispersione affettiva. Un luogo politico, pur nella sua asetticità che, fin dal nome, sminuisce anche la Storia. I personaggi hanno comprato qualcosa di più di una casa: uno stile di vita, e quindi, un sogno.
I tuoi personaggi cercano un surrogato della felicità in una casa nuova, in un figlio o in un animale domestico…
Sì, si aggrappano ipnotizzati a un figlio o a un cane, che non sono nemmeno desideri reali ma simulacri. E poi, se una casa li impegna in trenta anni di pagamento – metà della loro vita – quel bene (immobiliare) dovrà pur significare qualcosa. Ci sarà, da qualche parte – forse ovunque – anche il Bene, ma non sono capaci di riconoscerlo. Mi interessa questa ricerca.
Come si esce dalla spirale casa-ufficio-casa-centro commerciale?
Beh, per il lavoro già tante persone sono in condizione di essere fuori da questa spirale. Per i personaggi del mio libro, la merce non ha più alcun senso, a parte per il recluso di un ospedale psichiatrico. Scegliendo di vivere a Cortesforza, luogo che è già un prodotto, sono talmente dentro la merce da dimenticarla. Hanno virato verso un attaccamento alla vita quasi animale: non a caso il libro pullula di pesci, pulci, pulcini congelati, serpenti, scimmie e molti altri animali, che sono il correlativo oggettivo dei personaggi.