Quanto c’è di un autore dentro i suoi libri? Nel caso di Papà Montagna, molto! Ce lo racconta Sara Donati che lo ha scritto e illustrato.
Sara, raccontaci di te. Quando è nata la tua passione per i libri e la scrittura?
Ricordo l’emozione di quando ho imparato a scrivere, ricordo proprio il momento in cui ho capito che tutto l’insieme delle lettere formava una parola di senso compiuto e che ho pensato: «Adesso posso dire quello che voglio!».
A 8 anni strappavo delle strisce di corteccia sottile della betulla che avevamo in giardino e ci scrivevo sopra delle frasi che regalavo a tutti i miei parenti.
Scrivere era solo un gioco come un altro, leggevo molto per lo stesso motivo.
Mia madre era una maestra della scuola d’ infanzia, frequentava la fiera internazionale del libro per ragazzi di Bologna per comprare libri e documentarsi sulle ultime uscite. Mi portava spesso con sé, mi ha sempre letto e comprato moltissimi libri e prima che tutto fosse diviso in settori: la grammatica, il tempo libero, lo studio… leggere era uno dei miei giochi preferiti.
Poi sono arrivate le medie: l’adolescenza, le regole, la mia predisposizione alla divagazione, mi hanno fatto “cadere dal pero”, come diceva mia nonna, in quella che allora mi sembrava la dura realtà. E per molto tempo, tutto quello che ho scritto l’ho tenuto segreto, perché rimanesse un gioco.
Sei autrice e illustratrice. Dicci della tua vocazione anche per il disegno
Il disegno è sempre stato una storia diversa. Sarà perché mi sembrava che nessuno gli desse una grande importanza, mi sembrava di poter fare un po’ come mi pareva ed è sempre rimasto uno spazio di libertà. Poi, da questo a sentirsi uno scrittore o un illustratore è tutta un’altra storia. Io non è che ci credo davvero a queste definizioni, mi sento tutta un po’ storta lì dentro.
Se potessi, mi definirei solo “autrice di cose”
Ho pubblicato il mio primo libro nel 2009 ma ci ho impiegato un bel po’ a capire la dinamica e i meccanismi miei e del lavoro in campo editoriale…. così, ho indugiato volentieri nella ricerca ancora un po’ di tempo prima di riprovarci: ho fatto tante cose da principiante, tanti lavori diversi, e quando poi ho nuovamente tentato di pubblicare è successo tutto in maniera differente. Ho incontrato Olivier Douzou, Art director di Edition Rouergue, e lavorare insieme è stato facile.
E dopo questo tuffo nel passato, dicci qualcosa di te adesso. Dove ami lavorare? Com’è la tua scrivania?
Non sono molto social, ci provo, ma poi le mie foto le mando sempre ai soliti 5 amici, e ad una mail preferisco sempre una telefonata. Vivo in provincia di Brescia con Luca, Olivia e Grattastinchi, un gatto sovrappeso. Faccio ancora lavori diversi, che forse è un modo per avere sempre una scappatoia; anche quando lavoro per un libro ne porto avanti sempre un secondo: il suo alter ego segreto….


La mia scrivania è un essere mutevole: quando lavoro ad un libro si riempie di pezzetti di carta, di oggetti di ogni tipo, di torsoli di mela, tazze di tè, e piccoli amuleti che mi collegano con la storia che racconto. Soprattutto, però, c’è un suono, una musica, una canzone che mando a ripetizione, che di solito mi aiuta ad ancorarmi a quella storia.
Cosa ti ha ispirato per l’albo “Papà Montagna”? Raccontaci
Papà Montagna ha una genesi particolare…
I miei nonni paterni erano pastori di pecore, abbiamo ereditato da loro una grande casa di montagna in valle Camonica che è il luogo in cui ho passato tutte le estati della mia infanzia. Parecchi anni fa, ho invitato lì Kitty Crowther (illustratrice e scrittrice belga di libri per bambini, ha vinto nel 2010 l’Astrid Lindgren Memorial Award, ndr) a tenere un corso ad un piccolo gruppo di illustratori: la prima bozza della storia è nata proprio in quei giorni, e quei luoghi sono l’ambientazione di tutto il libro.




Il legame con la natura che ho oggi lo devo alla valle Camonica e a mio padre. Questa casa di montagna d’estate si riempiva di gente, arrivavamo ad essere anche in 25 persone, dei quali la metà bambini. Mio padre ci proponeva gite notturne a 2000 metri, percorsi da fare da soli con la bussola, che nel periodo preadolescenziale dei dodici anni in cui noi ragazzini volevamo solamente stare in camera ad ascoltare la musica, erano davvero strazianti. Oggi io e tutti gli ex bambini di quelle gite ci sentiamo molto fortunati ad aver potuto vivere queste avventure nella libertà e nella selvatichezza di quei luoghi. Il libro è dedicato anche a loro, per quello che abbiamo condiviso.
In Papà Montagna c’è sicuramente molto di autobiografico: c’è mia figlia Olivia nella protagonista, c’è il legame con mio padre, ci sono io a 8 anni, tutto frullato insieme.
È la storia di una bambina che scopre la propria diversità, che si sente sola, in un contesto che non conosce, che si arrabbia e che cade e che grazie alla caduta riscopre un’altra prospettiva da cui guardare le cose. Quando cade anche il libro si capovolge , mi piaceva l’idea che ci fosse un’azione fisica che facesse cambiare anche il nostro punto di vista in quanto lettori.
Volevo esplorare come si può entrare in relazione con qualcosa di grande come una montagna, e che a farlo fosse una bambina.
I bambini hanno delle idee giganti, sanno capire la grandezza e non hanno bisogno di esserne protetti.
A volte, ho a che fare con alcune scuole in cui i bambini mi sembrano indirizzati a diventare un piccolo esercito… tanti cerchi, triangoli, ottagoni che devono uscire tutti di una stessa forma. Per me, condividere una storia con dei bambini è un grande onore, è piantare un piccolo seme, è dire loro che vanno bene anche se sono esagoni. E che ci sono cose più grandi al mondo della scuola o degli adulti come me. Qualcosa a cui sono connessi e che ci contiene tutti.
Per quale età o a chi consiglieresti la lettura di questo albo? Come potrebbe essere usato secondo te nelle classi?
Io ho sempre regalato albi illustrati a persone di tutte le età, perciò faccio sempre fatica a catalogarli in un’età specifica. Ho conosciuto genitori che Papà Montagna l’hanno letto ai loro bambini anche molto piccoli, di 4-5 anni. Ci sono tanti strati in questa storia: può raccontare semplicemente di un campeggio e di una bambina che non ama la montagna; ma anche il diventare grandi da soli e la meraviglia che si può provare stando immersi in un ambiente in cui niente è stato costruito dall’uomo, o lo specchiarsi nel mondo circostante. Mi ha scritto un insegnante francese che mi ha raccontato che ha usato il libro per introdurre delle lezioni sulla montagna; ha regalato anche dei piccoli sassi ad ogni bambino, come il padre della protagonista del libro, come oggetto simbolico per farli sentire accolti e compresi all’inizio del nuovo percorso scolastico (per fortuna esistono anche insegnanti meravigliosi!).
Per chiudere: un pensiero o una dedica che ti va di condividere qui con i lettori
All’inizio del libro, il padre regala ad Agata: «…Un sasso né piccolo né grande».
Agata lo perde…. e alla fine, quando lo ritrova, ha ritrovato anche lei la sua giusta misura: «…né troppo piccola né troppo grande». Ecco: vorrei augurare ai lettori di trovare la loro giusta misura.
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