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La Goat al Bike Cargo Race del Bike Film Festival

La Goat non è una bici da trasporto, è una bici da viaggio, non è pensata per grandi trasporti, è stata realizzata per viaggiare ed esplorare.

Però quando Frank mi invita a partecipare alla Bike Cargo Race tengo in considerazione l’invito, ci penso per un po’.

Mi fa piacere che ci sia un’idea di questo tipo, è una delle tante idee che possono contribuire al maggiore impiego della bici, una cosa che può aiutare a rivalutare la bici.

Anche la Goat è nata un po’ per questo motivo.

Mentre pedalo verso est, verso l’Adriatico, ci ragiono sopra con calma.

Potrei andare alla gara, ma la Goat non ha interesse a mettersi in competizione. Il pensiero di mettersi sulla linea di partenza, di dover caricare il più possibile, di scattare e dare dimostrazione di grandi prestazioni… No, non è una cosa che interessa alla Goat.

Cosa dovrebbe portare la Goat? Copertoni di auto, bidoni di birra, pesi umani…

Ma il carro posteriore è nuovo, appena fatto e sarà già un miracolo se arriverà fino al mare.

Il carrello è piccolo, non può trasportare un pneumatico… E come lo metto? Di piatto non ci sta perché s’incastra fra le ruote e le blocca, in piedi non si sta perché si ribalta.

I bidoni di birra di birra ci stanno, ma sono cilindrici… e chi li fa sta fermi sul carrello o sul portapacchi? Dovrei legarli, ma in gara non avrò il tempo di legarli.

I pesi umani… Ma il carrello è calibrato per portare una borsa e niente di più!

Una volta un ragazzo voleva sapere quanto portava un mio carrello da viaggio, uno di quelli che evolvendosi hanno poi dato vita al carrello della Goat. Un padre o uno zio del carrello della Goat. Lo avevo fatto salire in piedi sul carrello, ma solo in quel momento avevo notato che quel ragazzo era forse un campione di fagocitazione di merendine e per un attimo avevo temuto il peggio.

Poi, per fortuna, aveva messo i piedi all’esterno del pianale e il carrello non aveva ceduto.

No, un peso umano sul carrello no! Non ce la può fare.

I conti sono fatti: i copertoni no, la birra no, l’umano no… Quindi non ci vado.

Però… Però mi spiace non andarci… In fondo la Goat fa bene il suo lavoro, perché si dovrebbe autoescludere?

Dai, ci devo provare, non so cosa andrò a fare, ma ci devo provare.

Pedalo lungo il Po, devo arrivare al mare in tempo per tornare a casa e prepararmi alla gara.

Arrivo alla spiaggia e faccio il possibile per arrivare a casa entro venerdì, mi serve un po’ di tempo per trovare e applicare qualche idea.

La gara sarà domenica pomeriggio, io punto a lavorare sabato e domenica mattina.

Gioia e sconforto, passo dalla voglia di partecipare all’idea che farò solo una magra figura di fronte agli altri cargo.

Cerco di documentarmi in internet, trovo qualche filmato di cargo race.

No, non ce la posso fare, questi hanno bici adatte, senza carrello, studiate per trasportare grandi carichi, con cestelli chiusi dentro i quali si possono gettare velocemente le cose, mentre sulla Goat qualunque cosa deve essere legata.

La prima versione del carrello, che era pensata per portare anche la bici sul carrello, aveva le pareti laterali, ma poi le ho tolte perché erano inutili e quei pezzi ora compongono il del carrello del Vtte.

Il filmato danese conferma che non ce la posso fare. Ora ho capito che non solo arriverò ultimo, ma farò proprio una magra figura.

**********

Sabato mattina

Mi metto al lavoro, cosa faccio? Irrobustisco? Aumento la capacità di carico, aggiungo qualche pezzo?

Potrei ampliare il portapacchi della bici, potrei ampliare il carrello, potrei…

No, la Goat è una bici da viaggio e parteciperà come bici da viaggio, non voglio trasformarla in bici da trasporto, posso fare delle modifiche, ma non troppe, non voglio che la Goat diventi una cosa diversa da quello che è.

Potrei costruire un portapacchi anteriore; la ruota da BMX e la forcella rinforzata con attacchi aggiuntivi per i portapacchi potrebbero consentirlo.

Potrei mettere qualcosa all’interno del telaio, dove avevo saldato a suo tempo delle aste di acciaio con fori filettati per aggiungere un portapacchi interno. Potrei allargare il portapacchi posteriore.

No, non credo che servirebbe a molto.

Decido quindi di rimontare le aste per il traino a spalla del carrello e irrobustire il carrello, senza modificare la forma.

Rimonto le aste di traino e aggiungo delle barre filettate laddove è possibile senza spostare nulla, non tolgo i freni, ne quelli manovrati dal manubrio, ne quali statici.

Non serviranno durante la gara, ma io non li tolgo per non umidificarla. “Modificarla”, volevo dire “modificarla”, ma il correttore automatico a volte scrive a piacere.

Ogni tanto vengo fermato dal dubbio. “No, non ottengo nulla, non ci vado”, il dubbio mi attanaglia.

Poi però mi rimetto al lavoro.

Ok, ora ho aggiunto il possibile, la bici è pronta, ce la farà a portare un carico umano, ce la può fare, ma io ce la posso fare?

Forse è il caso di aumentare la potenza, forse conviene cambiare il rapporto, una corona più piccola non ce l’ho, ma un pignone più grande, con un dente in più, dovrei averlo.

Il nuovo carro posteriore della Goat mi consente di regolare meglio la posizione della ruota, dovrei poterlo fare senza problemi. Trovo il pignone e provo, ci sta!

Ora è tutto pronto, carico tutto in macchina.

Vado.

Arrivo al Bike Film Festival, giro un po’, non so.. , non so se partecipare, cosa ci faccio qua?

Quasi quasi torno a casa…

Arriva Frank: «Dove hai la bici?».

«In macchina, sono indeciso.».

Vabbé dai, qualcosa accadrà.

Poco per volta arrivano tutti, tutte bici da carico, una con il portapacchi davanti, una in mezzo, una dietro; con uno o più portapacchi ciascuna.

C’ è quella con il cassone davanti e quella da netturbino con un due alloggiamenti porta bidoni.

Qualcuna anche con un carrello agganciato.

Insomma… Capacità di carico che la Goat non avrà mai.

Qualcuna ha i cambi, qualcuna ha un solo rapporto, ma molto potente, più potente di quello della Goat.

Ci sono più modelli di quanto pensassi, dai modelli più tradizionali simili alla classica bici da panettiere di un tempo a mezzi più moderni come le bici degli Urban Bike Messenger di Milano o a Bicicapace.

Una trentina di bici in tutto.

Si vede però che nessuno ha intenzione di vincere niente e nessuno ha intenzione di gareggiare come se fosse una vera gara. Il clima non è certo quello della gara, l’idea che mi ero fatto con il filmato danese passa subito.

Ci si iscrive con il nome e chi non ha una bici gli viene assegnata oppure può partecipare come peso umano.

Ti fai le domande; “Si gareggia a squadre? Si gareggia da soli? Si carica la bici prima oppure si carica e scarica durante la gara? Ci sono altri che devono legare i pesi al portapacchi? Forse sì.”.

Si parte a coppie: uno contro uno: A e B.

Il ciclista che parte da sinistra carica nel magazzino “A” al primo giro e il ciclista di destra carica nel magazzino “B” al primo giro.

Alla fine del primo giro il ciclista che ha caricato in “A” scarica in “B”.

O viceversa… insomma non è ben chiaro chi va in “A” e chi in “B” e quando la cosa si scambia. Bho!?!

La tensione della competizione, il clima della gara, l’ansia della sfida… Non commetterò un errore che comprometterà tutta la gara?

Non pensarci, scaccia i cattivi pensieri, al momento di giocare si giocherà e poi che vada come deve andare.

Che numero sono? Quando devo partire?

Devo controllare bene per farmi trovare pronto quando sarà il mio turno.

Parte la musica, scatta la prima coppia, cerco di capire dove va a caricare, in quale magazzino, e quanta roba carica.

Le bici caricano e si lanciano per il primo giro, tornano al magazzino, continua a non essere chiaro chi deve arrivare al magazzino “A” e chi al “B”.

Ma no…

In realtà si gareggia a coppie, ma non sembra proprio che qualcuno misuri il tempo di percorrenza e neppure il carico effettuato.

Quando la bici arriva scatta l’assalto, tutti i carichi umani riempiono bici. Cassoni, portapacchi e carrelli di qualunque cosa. Il pilota parte, non fa neppure in tempo a capire cosa gli abbiano buttato addosso, parte senza neppure sapere dove va, cerca la direzione giusta, sempre che non gli abbiano infilato un copertone in testa e rischi di finire contro un muro.

Parte e basta, l’importante è che vada a qualche parte.

Si sommano così bici, copertoni, bidoni di birra ed esseri umani che si avvinghiano e aggrappano in ogni dove pur di restare incastrati, aggrappati, appesi a quelle due ruote che qualche sconosciuto principio della fisica riesce a far girare fino a quando la banda smette di suonare.

La prima coppia arriva al traguardo, parte la seconda, e l’avvinghiamento di carni, gomme e acciaio sulle ruote si amplifica a ogni giro.

Compito del pilota è solo quello di arrivare. Ora capisco a cosa serviva il giro di prova, non per provare il mezzo, ma per imparare il percorso, perché una volta immerso fra copertoni e gente arrovellata difficilmente si vede dove si va.

La capacità di carico di ogni mezzo viene messa a dura a prova, viene provata anche la resistenza dei ruote e cuscinetti. Nessuno mezzo potrebbe passare il “test dell’alce”, una volta presa la direzione il mezzo la deve mantenere.

No, dai, non è così… In realtà non è così, in realtà i mezzi riescono a curvare, deviare, slittare, sgattaiolare e deviare a ogni ostacolo.

Le prestazioni dei cargo dimostrano di essere di ottimo livello e gli insiemi uomo-macchina sanno affrontare ogni difficoltà.

Alo scatto si entra nella mischia, a quel punto il solo dovere è arrivare alla fine a qualunque costo, c’è un punto in cui ci si ferma e si viene caricati, poi si parte, non si capisce se quando qualcuno dice che lo devi fare oppure è l’istinto che ti fa partire, non sai chi sarà con te per quei due giri di musica.

Prima coppia, seconda coppia, terza coppia di ciclisti cargo.

Arriva il turno della Goat, inizia la musica si parte, arrivo al carico. Qualcuno salta sul carrello con delle gomme in braccio: «Tieni il peso al centro altrimenti il carrello fa alzare la ruota dietro e non fa più presa». Lo avevo notato nel giro di prova, se il carico fa impennare la bici al contrario i o pedalo con la ruota a mezz’aria.

I copertoni che ha in mano s’incastrano fra le ruote e ci blocchiamo: «Aspetta che sistemo meglio, vai parti!».

Arrivo in magazzino e ricarico, salta su il ragazzo con cui avevo fatto il giro di prova, ma ha già studiato come impostarsi e come sbilanciarsi in curva. Arriviamo a fine giro e la musica finisce.

Altre coppie di cargocilisti si cimentano nello slalom fra ostacoli e pesi umani.

La Goat partita un po’ dubbiosa torna soddisfatta della sua prestazione sicuramente scarsa se paragonata a quella degli altri veicoli, ma abbastanza decente.

Nessuna sfida e nessuna competizione, solo la voglia di divertirsi e di far parlare di bicicletta. Solo l’idea di dimostrare che le due ruote possono essere molto di più di un oggetto che aiuta a muoversi da qui a là.

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    Terre di mezzo editore è una casa editrice fondata a Milano nel 1994.
    Pubblica ogni anno più di 100 titoli. Tra le collane principali ci sono: L’Acchiappastorie albi e narrativa per bambini e ragazzi, i Percorsi a piedi e in bicicletta, I Biplani, racconti di grandi autori illustrati da artisti di fama, i manuali creativi delle Ecofficine.
    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

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