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Provateci voi a dire “no slot”

Quando il noleggiatore delle slot machine gli ha offerto del denaro da prestare ai giocatori che frequentavano il suo bar, è sbiancato. Eppure all’inizio tutto era filato liscio: prima di installarle avevano addirittura ristrutturato una saletta del suo locale in provincia di Vercelli. Poi però, visti i magri incassi, ecco la proposta shock: “Diventa usuraio”. Da qui, la decisione di smettere.

I locali che dicono no alle macchinette sono in aumento: oltre alla tabaccaia di Cremona, Monica Pavesi, di cui a novembre hanno parlato giornali e tivù, lo avevano già fatto il Crazy pub di Casorate Sempione (Va) e una trentina di circoli Arci della Toscana. Ma la sensazione è quella di essere solo alle schermaglie iniziali di una battaglia epica, alla Davide contro Golia, visto che in Italia ci sono circa 400mila slot machine, una ogni 150 abitanti. Un business, questo sì, che non conosce crisi: nel 2012 gli italiani hanno speso 90 miliardi di euro per i giochi d’azzardo (dal Gratta e vinci al poker on line), ben 10 in più dell’anno precedente, oltre la metà dei quali sono finiti nelle macchinette.

Ma se aprire le porte del proprio esercizio alle slot è facile, molto più difficile è “sbatterle” fuori. Il piccolo barista infatti deve affrontare una gigantesca macchina da soldi pilotata dai Monopoli di Stato, che affidano la gestione dei giochi a 10 grandi società concessionarie di cui solo due, Lottomatica e Snai, sono italiane. Le altre hanno sede in Lussemburgo (Gamenet, Cogetech, Hbg Connex e Sisal), Spagna (Cirsa e Codere), Svizzera (G.Matica) e Regno Unito (Bplus). Le concessionarie, poi, tramite 5mila imprese che danno lavoro a 120mila persone, installano le slot machine negli spazi commerciali sul territorio. Chi rinuncia deve mettere in conto pressioni psicologiche, penali da pagare e la perdita di allettanti benefit.

Sul sito della Pragma di Merano (Bz), una delle ditte che noleggiano le macchinette, è possibile scaricare il contratto annuale che gli esercenti sottoscrivono con la Cogetech: in caso di disdetta, è prevista una penale di 250 euro per apparecchio. Se contiamo che in ogni bar ce ne sono almeno quattro, dire “no” costa dai mille euro in su. Soldi che vanno sommati al mancato guadagno dalle slot, pari al 12 per cento delle giocate, cioè almeno 400 euro alla settimana.

A una barista di Bergamo il noleggiatore voleva addirittura far pagare una penale per i giorni in cui era stata chiusa, dopo che i ladri le avevano sfondato la vetrina. “Grazie al nostro ufficio legale, però, l’esercente è riuscita a liberarsi dal ricatto”, racconta Giorgio Beltrami, presidente dell’Associazione dei commercianti e baristi della città. Le slot quindi ingannano non solo i giocatori, ma anche i gestori dei locali. “Con gli incassi s’illudono di poter pagare debiti, affitti e luce -sottolinea Beltrami-. Col tempo, però, perdono la clientela, infastidita dalla presenza dei giocatori. Un bar funziona se offre qualità, non se rovina le famiglie”. Per questo, agli inizi di dicembre, Beltrami ha deciso di mandare ai mille baristi aderenti alla sua associazione una lettera in cui ricorda che, se hanno bisogno di prestiti, anziché intallare slot e video lottery possono contare sulla cooperativa Fogalco, creata dai commercianti proprio per offrire garanzie alle banche.

A Varese, invece, l’associazione Azzardo e nuove dipendenze (And) ha organizzato il primo corso per baristi sul tema del gioco. “Hanno partecipato solo in cinque, ma lo consideriamo un successo -racconta Daniela Capitanucci, presidente onorario di And-. Spesso i titolari dei locali sono in grado di riconoscere le persone che rischiano di buttare al vento tutti i loro risparmi, ma poi non sanno cosa fare”. Durante una sessione di due ore tenuta da uno psicologo, hanno imparato come trattare i clienti problematici e indirizzarli ai tre sportelli creati per i “dipendenti” e i loro familiari a Varese, Samarate e Cassano Magnago.

Dalla Casa del giovane di Pavia, poi, è partita la campagna “Questo bar è no slot”, alla quale hanno aderito una ventina di locali, per difendersi dalle sempre più aggressive strategie di marketing messe in atto dai gestori dei giochi. “Una barista mi ha raccontato che, per convincerla a diventare sua cliente, il noleggiatore le ha regalato un televisore al plasma con abbonamento a Sky e l’impianto di sicurezza” dice lo psicologo Simone Feder, tra gli animatori della campagna. In altri casi, vengono offerti premi agli esercenti che hanno più giocatori: “A fine anno mi procuravano attrezzi per il bar o un nuovo cellulare del valore di qualche centinaio di euro” ricorda Luca Boschiroli, uno dei due titolari del Crazy Pub di Samarate. Qui, a maggio 2012, si è tenuto il primo aperitivo “libero dal gioco d’azzardo”: al posto delle macchinette, un bello scaffale con vini, formaggi e 40 birre artigianali. “Ora abbiamo nuovi avventori e lavoriamo più di prima”. 

I controlli e le pressioni, però, non mancano anche in altri tipi di gioco: un tabaccaio ha ricevuto un richiamo da Lottomatica perché “il suo punto vendita ha valori di acquisto di Gratta e vinci non in linea con le potenzialità della zona in cui opera”. La lettera lo incolpa di non riuscire a venderne almeno 14 pacchi al mese (pari a 840 tagliandi, ndr) e si conclude con un monito: “Le ricordiamo che lei continuerà ad essere tenuto costantemente sotto controllo”. Tradotto: se non si allinea ai voleri della concessionaria, il tabaccaio probabilmente non potrà più offrire altri servizi di Lottomatica, ben più utili, quali il pagamento di tasse e bollette.

La battaglia di questi tanti piccoli Davide, quindi, è combattuta contro Golia sempre diversi, ma tutti minacciosi. E che magari, sotto un cappotto elegante, nascondono una lupara. A Milano, la cosca dei Valle-Lampada aveva creato ben quattro imprese attive nel settore e collocato 347 slot machine e videolottery in 92 locali della città e della provincia, che fruttavano agli ‘ndranghetisti dai 25mila ai 50mila euro al giorno. Una parte di questi soldi sarebbe dovuta finire nella casse dello Stato, ma gli inquirenti sospettano che molte macchinette fossero state manomesse per fornire dati falsi ai Monopoli e alla società concessionaria, la lussemburghese Gamenet. Quest’ultima, scrive il pubblico ministero Ilda Boccassini, “non controlla nulla e pensa solo a portare a casa i soldi”,
tanto da accettare che i Lampada le saldino in contanti un debito di 750mila euro, in 12 comode rate.

E questa è solo la punta dell’iceberg: secondo il rapporto “Azzardopoli”, curato da Libera, in Italia sono ben 49 i clan coinvolti in questo business: organizzano bische clandestine (circa 10 miliardi di euro all’anno il giro d’affari) oppure si inseriscono nel gioco legalizzato. Nell’area di Santa Maria Capua Vetere (Ce), i boss del clan Amato Belfiore convincevano i baristi ad accettare le loro macchinette mandando uomini armati. In certi casi, ci vuole fegato per dire “no slot”.

E lo stato perde 6 miliardi all’anno

Il gioco d’azzardo, si sa, è sempre un grande abbaglio. Anche per lo Stato, che crede di guadagnarci e invece ci rimette sempre di più. Nel 2012, a fronte dei 90 miliardi di euro spesi dagli italiani in lotterie, scommesse e slot machine, l’erario ne ha incassati 7,9: soltanto 600mila euro in più rispetto al 2004, quando il giro d’affari era di “soli” 24 miliardi. Dal tesoretto dell’anno scorso, peraltro, bisogna sottrarre il costo delle “conseguenze sociali” del gioco, calcolato tra i 5,5 e i 6,6 miliardi dal Conagga, il coordinamento nazionale dei gruppi per giocatori d’azzardo, che ai primi di dicembre ha presentato al Senato un dossier ispirato a una ricerca dell’Università di Neuchâtel (Svizzera), rielaborando i parametri in base alla situazione italiana. Lo studio ricorda che i giocatori patologici e i loro familiari devono ricorrere alle visite di psicologi ed educatori, nonché ai farmaci per tenere a bada ansia e stress e c’è addirittura chi ha perso il posto di lavoro o è stato sfrattato perché non riusciva più a pagare l’affitto. Il conto è presto fatto: i costi sanitari diretti ammontano a poco più di 85 milioni di euro, mentre quelli indiretti, calcolati considerando che i giocatori hanno il 28 per cento di capacità lavorativa in meno, variano da un minimo di 4,2 a 4,6 miliardi di euro. È stata fatta poi una stima del valore della “perdita di qualità della vita”, dovuta alle violenze in famiglia o agli stati di depressione che possono colpire parenti o giocatori: da 1,1 a 1,8 miliardi. E le cose sono destinate a peggiorare con i giochi di nuova generazione, quelli on line, sempre più diffusi: a dicembre, il Politecnico di Milano ha contato 52 tra app e siti di gioco per smartphone e tablet disponibili sul mercato italiano, con un aumento del 79 per cento in dieci mesi. “Sono i meno tassati e quindi in prospettiva lo Stato avrà meno introiti, mentre crescerà il numero delle persone con problemi di dipendenza -afferma il presidente del Conagga, Matteo Iori, che conclude-: abbiamo dimostrato che, alla fine, investire nel gioco non vale la pena”.

Dario Paladini, su Tdm n°041, gennaio 2013.

PER APPROFONDIRE: leggi l’altra parte dell’inchiesta di Terre di gennaio. E invita il tuo sindaco ad aderire al Manifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d’azzardo che è stato presentato lunedì 14 gennaio. E segui la campagna su Twitter #comuninoslot.

Di me tempo fa ho scritto: "Cammino molto e sono un giornalista. Le due cose si sposano bene, perché mi piace l'idea che un giornalista debba consumare le suole delle scarpe". Ora giro per Milano anche in bici e quindi consumo pure i copertoni. Scrivo su Redattore Sociale e mi trovate su Facebook.

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