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Settanta acrilico trenta lana

Una storia d’amore e una storia familiare. La perdita delle parole e la loro incredibile riscoperta. Un inverno infinito in una Leeds sospesa e senza tempo, e atmosfere cupe e dark che hanno il sapore di una musica lenta e avvolgente. Per il suo romanzo d’esordio, Settanta acrilico trenta lana (edizioni e/o), Viola Di Grado, ventitreenne catanese, ci conduce dentro una storia costruita su una lingua calda, vischiosa; una lingua che racconta i corpi e che vive di una sua stupefacente corporalità.

Camelia e la madre vivono sole da quando il padre di Camelia è scomparso in un incidente d’auto morendo fra le braccia della sua amante. Le due donne si chiudono in un silenzio ostinato, in un vuoto in cui la comunicazione passa per i gesti e gli sguardi muti che si scambiano. Il vuoto di Camelia sarà riempito dall’arrivo di un giovane cinese di nome Wen e dallo studio degli ideogrammi che lentamente la riavvicinano alla musica delle parole. Ma tutto è decisamente più complesso di quanto non sembri.

Spesso le opere prime sono contraddistinte da un’urgenza espressiva che tende a prendere forma in un eccesso di cuore. Nel tuo romanzo invece sembra esserci un sapiente bilanciamento tra cuore e ragione, sia nella costruzione dei personaggi sia nella trama. Come nasce l’idea di questo romanzo e quanto tempo è maturata questa storia dentro di te prima di trovare forma nelle pagine?

Nasce dai caratteri cinesi, volevo che salvassero la vita a qualcuno e allora li ho messi dentro un buco: un buco dove sono cadute le parole, nulla ha più significato. Soltanto gli ideogrammi, tirando fuori Camelia dal suo buco, potevano restituire senso alle cose. E allora mi sono messa anch’io a usare le parole come se fossero prima materia inutile e poi debordanti di senso.

La storia d’amore che si racconta nel romanzo, tra la protagonista Camelia e Wen, sembra nascondere la vera storia d’amore fra Camelia e sua madre. Quanto è stato complesso, se lo è stato, dare vita ad un rapporto così tormentato tra i due personaggi?

A poco a poco mi è venuta incontro la loro storia, raccontarla è stata una specie di strana lotta, perché mi sono azzerata dentro Camelia e dentro il suo amore disperato per la madre. E’ stato un annullamento graduale, mi sono calata dentro il loro buco come se stessi scendendo dentro un pozzo, costringendomi a respirare un’umidità diversa, per mesi, e a riemergere nella lingua cinese quando Camelia incontra il suo insegnante. Ma mi sono divertita da pazzi, perchè procedevo per deformazioni, “simbolizzazioni”, per alternanze di buchi e ideografia, era una sfida emozionante.

Nel romanzo ci sono dei personaggi apparentemente secondari, ma che in realtà sono parte predominante di tutta la narrazione. Uno di questi è la città di Leeds, teatro di tutta la storia, e luogo incredibile, quasi sospeso in un tempo d’inverno infinito che non lascia scampo alla vita. L’altro è la lingua, intesa come privazione delle parole, quella che vivono inizialmente Camelia e sua madre, e quella recuperata poi da Camelia attraverso lo studio del cinese. Dove risiedono le ragioni di queste scelte?

Mi piace che nelle mie storie tutto sia personaggio: i luoghi, e infatti parlo di “inverni egocentrici” che vogliono essere sempre l’ultimo inverno, e del sole che esce dalle nuvole per provocazione, e così via. E anche le parole sono personaggi: quelle vuote di senso di Camelia, che sono vomito e suoni ottusi, e quelle piene di significato della lingua cinese, gli ideogrammi. Loro in particolare volevo che fossero personaggi quanto le persone: “eravamo noi i morti e loro i vivi”, dice Camelia nel romanzo. 

Che tipo di lettrice sei? Quali sono i libri e gli autori che ami?

Sono una lettrice estremamente intollerante. Boccio molto spesso. Mi piace la letteratura giapponese, soprattutto antica.

A leggere il tuo romanzo sembra che tu viva un rapporto molto profondo e quasi fisico con le parole. Quando, come e dove scrivi?

Non ho orari precisi. Scrivo ovunque, più spesso in posti pieni di gente dove dovrei fare altro, come a una festa o in viaggio. Sì ho un rapporto molto profondo con la scrittura, quando la evito perdo temporaneamente la ragione.

Dopo il successo unanime di pubblico e critica per questo tuo romanzo d’esordio, cosa bolle in pentola? Hai già qualche nuovo progetto?

Sì, è in pentola ma non bolle ancora, devo lavorarci.

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    Terre di mezzo editore è una casa editrice fondata a Milano nel 1994.
    Pubblica ogni anno più di 100 titoli. Tra le collane principali ci sono: L’Acchiappastorie albi e narrativa per bambini e ragazzi, i Percorsi a piedi e in bicicletta, I Biplani, racconti di grandi autori illustrati da artisti di fama, i manuali creativi delle Ecofficine.
    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

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