È per questo che a Terre di mezzo ci stiamo “inventando” un laboratorio di scrittura creativa per bambini. Ed ecco, qui sotto, quel che pensa Giulio Mozzi della faccenda.
Nel tuo libro (non) Un corso di scrittura e narrazione scrivi che quello che si può insegnare, circa la scrittura, è la tecnica, ma – mi pare di capire – con il talento c’è poco da fare: o c’è o non c’è. Tu tieni da anni corsi e workshop di scrittura: cosa ti ha spinto a iniziare e cosa ti spinge a continuare? In altre parole – citando involontariamente Masini – perché lo fai?
Non considererei solo tecnica e talento: c’è anche il capitale sociale che uno eredita. Io sono figlio di borghesi colti, sono stato allevato nella lingua italiana, non mi è mai stata negata alcuna occasione formativa curricolare, sono cresciuto in una casa piena di libri, eccetera. C’è chi nasce con la camicia, come me, e chi no. La cosa vera che si può fare, in corsi e laboratori di scrittura e narrazione, è combattere la differenza tra chi è nato con la camicia e chi no. Perché, ovviamente, chi è nato con la camicia ha il dovere morale e politico di combattere questa differenza.
Tra i vari consigli che dai a proposito della scrittura, e su come potersi migliorare in questo campo, c’è sì quello classico di leggere di tutto, ma anche quello di provare a “scrivere di tutto” e utilizzando diversi stili, tanto che nel tuo libro consigli la lettura di testi/manuali diversissimi tra loro: da quello che insegna a scrivere romanzi rosa a quello sulle omelie. Perché è così importante questo percorso per costruirsi una voce (narrante) e uno stile propri?
Pensiamo al calcio. Un giovinotto che sia, per complessione e personalità, un attaccante naturale, non per questo può esimersi dall’imparare a difendere. E imparando a difendere imparerà a essere un attaccante migliore: capace, ad esempio, di valutare le conseguenze per chi gioca in difesa di certe sue azioni; e capace di indovinare con una frazione di secondo d’anticipo i comportamenti della difesa avversaria. Tutto qui.
Uno scrittore non scrive per sé, ma per gli altri. Questo è sempre vero o dev’essere la tensione ideale di un autore? Sottolinei che lo scrittore deve sempre immaginarsi un pubblico, quando scrive – ma questa è una delle cose più difficili per chi pratica un’arte così solitaria come la scrittura. Perché è tanto importante, secondo te?
Uno che scrive per sé è come uno che parla da solo. Quelli che parlano da soli, sono comunemente ritenuti matti (o almeno un po’ tocchi). La scrittura non è un’attività solitaria. È come il sesso: farlo da soli può essere piacevole, ma di sicuro non serve a procreare.
Nel libro racconti anche un’altra cosa, e cioè che lo scrittore è un essere umano come gli altri, con il mutuo, le bollette da pagare ecc., e che della propria scrittura di solito non si campa. Ma pare che spesso questo i lettori non lo percepiscano…
Non è un problema. Appena ci proveranno, a campare di scrittura, percepiranno tutto il necessario…