Chiudi

Ricerca

Ricerca

Meglio falchi o colombe?

Sarà per le brame di potere, le ambizioni e i colpi bassi che s’intrecciano una riga dopo l’altra nel nuovo romanzo di Vincenzo Latronico (La cospirazione delle colombe, Bompiani), sarà per gli incroci del destino e le coincidenze che no, non può essere, eppure è proprio così. Sarà per la fotografia di un Paese che ci stanno cambiando davanti gli occhi, seppellendolo sotto uno strato di cemento e vetro e speculazioni assortite. Sarà per tutto questo che t’immergi in apnea nelle vite di Alfredo Cannella, rampollo di costruttori veneziani in perenne conflitto con il padre, e di Donka Berati, coetaneo albanese ex-studente di Harvard, poi ricercatore in Bocconi, dove anche Cannella si è laureato. Due destini legati da un filo invisibile che li porta incontrarsi, frequentarsi, tradirsi, incontrarsi nuovamente, in un movimento che ti lascia il dubbio su chi sia, tra i due, il falco e chi la colomba.

Vincenzo, speculazioni edilizie e finanziarie sono il segno di questi tempi: com’è nato il romanzo e perché hai deciso di puntare (anche) su temi del genere?

Il romanzo è nato proprio dagli anni che ho passato nei comitati del quartiere Isola (a nord del centro di Milano) lottando contro una speculazione che ora sta investendo l’intera zona; dall’esigenza iniziale di raccontare la storia dell’Isola il romanzo si è evoluto, distanziandosi in parte da questo tema per coprirne uno più generale, credo: la questione morale che c’è sotto. Quale? Quel tranello atroce che ci sentiamo ripetere ogni giorno, dai manager che licenziano “perché sennò licenziano me”, dai costruttori che speculano “perché queste sono le cubature concesse, e se non lo faccio io lo fa qualcun altro”… L’idea che una forma di sostituibilità autorizzi ogni cosa: che se qualcuno, al nostro posto, sarebbe disposto a commettere una qualche nefandezza, allora per ciò stesso siamo giustificati a farla anche noi.

Nella Cospirazione delle colombe i personaggi principali inseguono il successo ma, alla fin fine, non c’è nessun vero vincitore, soprattutto sul fronte degli affetti…

Supponi che ti dicano: scegli se perdere un braccio o una gamba. Quale che sia la tua scelta, passerai il resto della tua vita a oscillare nell’incertezza: vedendo i tuoi amici con cui suonavi in un gruppo, penserai che se solo avessi ancora il braccio potresti continuare con loro; vedendo la gente che fa jogging sotto la finestra al mattino, penserai il contrario. Non c’era una scelta giusta, vittoriosa: la vittoria era non trovarsi di fronte a questa scelta. In modo un po’ dislocato, credo che sia la condizione dei miei personaggi: si sono convinti (o sono stati convinti, da quell’astrazione terribile che per comodità chiamiamo società o spirito del tempo o sistema di valori privilegiato dal tardo capitalismo), si sono convinti che il successo professionale, inteso come realizzazione del proprio potenziale, sia tanto fondamentale alla felicità quanto gli affetti. E nella misura in cui il primo si rivela incompatibile con questi ultimi, e si rende necessaria una scelta, eccoci di nuovo al dilemma del braccio e della gamba: hai perso per forza: per vincere non dovevi essere su quel bivio. È come il gioco delle due porte che conducono al tesoro o alla ghigliottina, e la guardia che mente sempre e quella che dice sempre il vero: solo che qui la ghigliottina è da entrambe le parti, e le guardie ti prendono garbatamente in giro, ma anche invitandoti a entrare.

Che fare per evitare di trovarsi su quel bivio?

Non credo di essere in grado di rispondere a questa domanda senza usare psicologia da cucina. Però se ci pensi – è una cosa che da piccolo, a un certo punto, mi ha colpito moltissimo – un bivio è una strada dritta, e quello che sembra un bivio è un trivio. Ho cercato di spiegarlo a parole ma con un disegno viene meglio:


Dove porta l’opzione 3? A tornare indietro, cosa che, ipoteticamente, non si vorrebbe fare – ma è pur sempre un’opzione. O anche:


Il romanzo è poi un ricettacolo di tradimenti assortiti. Anzi, quasi sempre chi raggiunge il successo lo fa a spese degli altri. Spesso la giustificazione sembra quella che metti in bocca a un tuo personaggio: “Li hanno già fregati, li fregano tutti. E se non li fregassimo noi saremmo con loro, a farci fregare da qualcuno più sveglio”. E questo si lega al tema della responsabilità individuale, giusto?

Sì – questo risponde anche a quello che dicevi prima circa la decisione di “puntare” su temi come le speculazioni. Ho deciso di puntare su questi temi, appunto, per toccare questa “questione morale”; ma anche – è un po’ più difficile spiegarlo – per una sorta di insoddisfazione verso le rappresentazioni della mia generazione quasi sempre un po’ lamentose e perdenti, di milleuristi, precari, aspiranti scrittori… Certo, siamo tutto questo, ma mi interessava mettere in scena personaggi miracolati, scampati alla tagliola del precariato: benestanti, o in procinto di diventarlo, decisi a prendersi l’unica fetta grande del poco di torta che resta, e convinti di poterlo fare. Ci sono anche loro. 

Il libro termina nel 2015: spiegami questa scelta e sfodera la palla di cristallo: come ti immagini il nostro futuro da qui a qualche anno?

C’entrano varie cose. Da una parte, volevo che la storia coincidesse con alcuni eventi reali, capitati a me, nel 2004 e 2005 – e da lì doveva andare avanti altri dieci anni. In secondo luogo, se l’avessi “anticipata”, sarebbe andata a cominciare nel 2001, con un capitolo ambientati negli Stati Uniti: e sarebbe diventato un altro libro, perché l’11 settembre avrebbe travolto tutto. Non lo so, come mi immagino il futuro. Come adesso, temo, ma con i soldi finiti davvero.

Nel romanzo ricorrono posti legati alla tua vita “reale”: di sicuro Milano, e poi Berlino, dove hai lavorato al libro. A un certo punto si scivola addirittura nell’autofiction. Quanto c’è di te in quello che scrivi?

Credo che questa domanda ammetta un’unica risposta: tutto. Però ovviamente è una risposta ad effetto che significa poco. Diciamo che – dopo un primo romanzo smaccatamente autobiografico, eppure ostinatamente “in personaggio”, ho voluto separare un po’ la storia che scrivi dalle ragioni, ovviamente autobiografiche, per cui scegli di scriverla. Per cui ho raccontato di personaggi lontanissimi da me, in cui non si intravede alcun tipo di “rispecchiamento” dell’autore, ma al contempo ho inserito me stesso – un me stesso “vero”, non una controfigura narrativa – come figura secondaria, quel tanto che basta per rendere evidente che ci sono anche io, in tutto questo: che ho scelto di parlarne per ragioni ben precise: che se c’è un dilemma morale non è che lo guardo dall’alto accigliandomi, ma, anzi, ne sono vittima per primo io stesso.

Latronico scrittore: come, dove, quando, con che metodo. E già che ci siamo: cosa fai per campare e come riesci a conciliare il tuo lavoro con la tua attività di scrittore?

Per vivere, o vivacchiare, traduco e scrivo di arte contemporanea. Questo ha influito molto sul “metodo”, dal momento che – nel bene o nel male – devo scrivere tutti i giorni, e mi rendo conto che è un allenamento benefico – idealmente, a un certo punto dell’anno prossimo avrò risparmiato abbastanza da mollare tutto per tre o quattro mesi e mettermi a scrivere un romanzo che per ora è ancora quaranta pagine di appunti. Per il resto: in genere parto con una scaletta lunghissima, strutturatissima, e piena di frecce e tabelle che sistematicamente ignorerò.

Infine: di che parlerà il tuo prossimo romanzo?

Del proprietario di una copisteria che finisce per esemplificare una frase di Cromwell. La copisteria esiste davvero, è quella in via Festa del Perdono, a Milano. La frase è questa: “Nessuno va così lontano come chi non sa dove sta andando”. No, scherzo. Parlerà, o vorrebbe parlare, dell’Italia, credo, così come la conosciamo nel secondo decennio del terzo millennio dall’anno che è noto come nascita di un dio.

Prossime uscite

consigliato da noi

  • Iscriviti alla nostra newsletter

    Vuoi rimanere aggiornato sulle novità di Terre di mezzo?

    "*" indica i campi obbligatori

    Questo campo serve per la convalida e dovrebbe essere lasciato inalterato.
  • Terre di mezzo

    Terre di mezzo editore è una casa editrice fondata a Milano nel 1994.
    Pubblica ogni anno più di 100 titoli. Tra le collane principali ci sono: L’Acchiappastorie albi e narrativa per bambini e ragazzi, i Percorsi a piedi e in bicicletta, I Biplani, racconti di grandi autori illustrati da artisti di fama, i manuali creativi delle Ecofficine.
    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

Nessun prodotto nel carrello.