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Un ingegnere in cammino: intervista a Roberto Montella

Roberto Montella Norvegia Cammino di Sant'Olav

Ha mappato il Cammino di Sant’Olav in una guida che è anche un diario di viaggio.
Di mestiere insegna matematica, ma non potrebbe fare a meno della scrittura.
Soprattutto da quando ha iniziato a camminare.
E non si è più fermato.

Roberto, raccontaci di te
Domanda complicata. Quando mi chiedono di dire chi sono, penso sempre a Jean Dominique, il cronista che gestiva la prima radio indipendente di Haiti, che quando si presentava diceva di essere un agronomo perché quello era il suo titolo. Io mi sento innanzitutto un ingegnere, ho studiato al Politecnico di Milano e alla Università Federico II di Napoli, dove ho potuto sviluppare le mie capacità di decifrare la danza dei numeri che, invisibile, ci circonda. La scrittura, però, è il mio amore più grande. Fin da bambino ho inventato storie da raccontare agli amici e, col tempo, scrivere è diventata una necessità, associata all’allenamento a ricordare. Si può dire che quella è stata la mia inconsapevole palestra. 
Le Lettere e l’Ingegneria, due mondi apparentemente distanti che, al contrario, non sono affatto separati. Quando guardo al passato, infatti, mi sembra di aver agito sempre nello stesso modo: ho tenuto in piedi case solide come si fa con i discorsi inattaccabili, ho progettato strade come si organizzano periodi di testo e ho curato la bellezza e l’efficienza delle strutture con lo stesso rispetto che si ha nel descrivere e rappresentare le emozioni. Forse, proprio la maturità scientifica mi ha aiutato ad avere una visione completa della realtà che mi circonda.

Sappiamo che non sei un camminatore novello. Quando e perché hai deciso di partire la prima volta?
Era fine febbraio 2014. Mi ero appena laureato in Ingegneria e il primo concorso accessibile per l’abilitazione alla professione si sarebbe tenuto ad agosto. Avevo già sentito parlare di Santiago e del cammino, ma l’idea di trascorrere un mese andando da un capo all’altro della Spagna, scavallare montagne, affrontare ogni tipo di avversità climatica, era quanto di più lontano dalla mia indole potessi immaginare. Sì, mi piaceva correre ma anche andare al cinema e leggere: ero sostanzialmente una persona pigra. Venivo però da un periodo di immersione e concentrazione, esami impegnativi, una tesi sperimentale sfiancante e giorni di completa chiusura dal mondo: avevo bisogno di provare qualcosa di completamente diverso quindi mi sono convinto a partire perché non avevo niente di meglio da fare. E invece era proprio quello il meglio che potessi fare. Da allora non mi sono più fermato.

Che tipo di camminatore sei, e cosa cerchi nell’esperienza del cammino?
Credevo che, come per il lavoro, sarei stato un camminatore metodico, dedicato al rispetto dei piani, organizzato, e in effetti prima di partire abbozzo sempre un programma (suddivido le tappe da rispettare, faccio l’inventario del guardaroba e del cibo) ma poi gli eventi lo stravolgono completamente. La prima regola di un camminatore è proprio quella che è impossibile rispettare le regole. In viaggio succede di tutto, ogni schema viene distorto e il pellegrino non ha altra scelta se non adattarsi. Una delle prerogative della vita del viandante infatti è proprio quella di perdersi, di accettare che i piani saltino e di lasciarsi sconvolgere da quello che accade. È questa l’esperienza che cerco, di abbandonarmi a non avere il controllo, in modo da imparare e conoscere sempre di più, ad accettare la gentilezza degli estranei, a condividere il tempo in modo naturale con gli altri e a trasformare tutto questo nelle parole giuste da trasmettere a chi legge. In fondo ci lamentiamo di avere già troppo “controllo” nella vita quotidiana: che senso ha portarselo dietro anche in una dimensione imprevedibile come quella del cammino?

Come è nato il progetto del nuovo libro “Il Cammino di sant’Olav” e in cosa si differenzia da altre guide?
Al ritorno dal cammino in Norvegia, nel settembre 2018, sono stato subito contattato da Miriam Giovanzana (direttore editoriale di Terre), che aveva letto i miei precedenti lavori e voleva propormi di realizzare una guida sul Gudbrandsdalsleden. La casa editrice era interessata a portare in libreria un titolo diverso, dedicato a viaggi meno noti: la gran parte dei pellegrini dell’Europa Mediterranea non conoscono Trondheim e scelgono come meta Santiago oppure Roma. Era un’idea affascinante e io ne ero lusingato ed emozionato, perché mi sentivo un pioniere, e i primi esploratori percepiscono con forza la responsabilità che risiede nel diffondere ciò che di bello hanno conosciuto. Ero però anche piuttosto inquieto, perché in quel momento ero impegnato nella scrittura di un altro diario di viaggio, quello sulla Via Francigena, e perché non avevo esperienza nello scrivere guide. Quindi, sapendo di pentirmene, ho declinato la proposta. Ma la coordinatrice della collana Percorsi, Isabella Pavan non si è arresa, e ha intrapreso un “corteggiamento” che definirei simile alla pesca del salmone: mi dava lenza perché finissi i lavori già iniziati, ma mi contattava per farmi capire che lei era sempre in agguato e non avrebbe mollato la presa. Ad aprile 2019 Isabella, tornata alla carica, ha sciolto le mie riserve illustrandomi un’opera che fosse guida ma anche e soprattutto racconto dei miei giorni in cammino, un lavoro completo che contenesse le informazioni tecniche sul percorso, i dislivelli, le percentuali di asfalto e sterrato, le indicazioni da seguire, gli alloggi dove fermarsi, bere e mangiare, ed insieme l’atlante delle emozioni, lo sviluppo della ricchezza culturale e delle tradizioni norvegesi, la ricostruzione della vita del santo cui si va a porgere omaggio, gli incontri con le persone che danno un senso al proseguire, la descrizione della natura selvaggia e molto altro. Il pellegrino non fa una maratona seguendo le frecce, non deve dimostrare le sue capacità ma passare nei luoghi arricchendosi di cultura e natura perciò ha bisogno sia di tecnica che di conoscenza. Io e il mio editor, l’infaticabile Mattia Gadda, siamo stati al lavoro per sei mesi con lo scopo di realizzare un risultato che facesse combaciare i due aspetti, perché la guida e il racconto non si scontrassero ma, al contrario, si armonizzassero in prospettive complementari. E sfogliando le pagine, pensando a quello che è venuto fuori, devo dire che Isabella aveva ragione ad insistere.   

La Norvegia è una terra lontana e forse non molto frequentata dai camminatori italiani. Eri spaventato all’idea di partire per un territorio così differente? Ci sono davvero maggiori difficoltà nel camminare in Norvegia rispetto a farlo in Italia o in Spagna?
Tutto quello che non conosciamo ci spaventa. È naturale. Ma ci incuriosisce anche. Ci stuzzica e ci affascina. Dopo aver camminato da Canterbury a Santa Maria di Leuca che cosa avrei dovuto temere? Sono partito carico di prospettive ed emozioni e non sono rimasto deluso. La Norvegia è un mondo potente, ricco di natura e rispetto per l’ambiente, vasto, con paesaggi incantevoli, spiazzanti, dove la solitudine assume una dimensione di completo abbandono, e ciononostante offre tutta l’attenzione al pellegrinaggio che si trova in Spagna e in Italia con ottima segnaletica, alloggi confacenti, percorsi puliti, accoglienze calorose. Considera che l’età media dei pellegrini che percorrono il cammino di sant’Olav è largamente più alta di quelli che vanno a Santiago: ciò dimostra che non ci sono particolari difficoltà.

6.650 chilometri, da Oslo a Trondheim: dicci una delle tante particolarità del cammino
L’aspetto più evidente è sicuramente quello legato al tempo: d’estate il sole sorge alle quattro del mattino e tramonta quasi alle ventitré, ben diciannove ore di luce! All’inizio ero sconvolto, non riuscivo a dormire bene, non capivo se la giornata stesse finendo oppure no. Ricordo che il primo giorno, senza volerlo, ho camminato per quasi quaranta chilometri, mosso semplicemente dall’illusione di una giornata eterna. Devo ammettere che è stato straniante ma ho imparato a sfruttare questa “curiosità latitudinale” come un vantaggio: con così tante ore a disposizione ho potuto diluire il tempo ancora di più, approfittare delle pause per fermarmi, riposare durante il giorno, assaporare la lentezza come un regalo ancora più grande da gestire.  

Scrivi nel libro che in una tappa del percorso, su un cartello hai trovato la scritta: take what you need, leave what you don’t.
Ma cosa serve davvero per partire, oltre alle poche cose materiali?
La frase era scritta su una scatola nel Pilegrimssenter di Hamar, centro in cui i viaggiatori potevano lasciare pantofole, asciugamani, maglie, cappelli, medicine, calze e perfino un sacco a pelo. Chiunque poteva prendere, all’occorrenza, o contribuire per il prossimo viandante. Lo trovo bellissimo. Io dico sempre che, prima di partire, ogni pellegrino deve assicurarsi di portare con sé: la predisposizione a perdersi di cui ho già parlato; il mistero, che serve a scovare la meraviglia ad ogni passo; e, infine, un grande dolore, necessario a comprendere la fortuna di esistere, qui e ora. Solo chi accoglie la vita con queste caratteristiche può capire la condizione spirituale con cui si vive in cammino.

Raccontaci dei tanti pellegrini e viaggiatori che hai certamente avuto modo di incontrare e conoscere sui vari cammini: quali sono le motivazioni che li spingono? Sono sempre le stesse, o hai notato delle differenze? Vuoi raccontarci di qualcuno di loro?
Tanti cammini, tanti incontri, tante persone: e sono proprio loro che hanno arricchito i miei giorni, e con ogni singolo viaggiatore ho condiviso storie e vita. I motivi del viaggio sono tantissimi: c’è chi vuole scrivere il blog di viaggio che cambierà la sua vita, chi approfondisce la conoscenza delle proprie radici, chi cammina con protesi di acciaio alle ginocchia finché ancora ne ha la possibilità. Ci sono i maratoneti che sfidano i propri limiti, quelli che si alzano la mattina presto perché vogliono trovare posto negli ostelli, quelli che finiscono le imprese cominciate da altri, quelli che registrano le voci della foresta alla ricerca del suono del silenzio. Ci sono i pellegrini che si fermano e diventano hospitaleri, per completare con l’accoglienza la loro esperienza. Ci sono le coppie che realizzano una promessa insieme, quelli che si innamorano lungo la strada e decidono di restarci, quelli che hanno fatto un voto e ringraziano. Ci sono quelli stanchi di quello che hanno passato, quelli che cercano una ragione, quelli che vivono un’avventura. Ho voluto bene a tutti, ma di solito sono i veterani ad insegnarti di più. 
Jønsen era un pellegrino danese, insegnante in pensione, che ho incontrato nel 2014 sulla strada per Santiago. Aveva più di 70 anni e percorreva il cammino francese per la settima volta.  Partiva presto perché non sopportava il caldo, si concedeva lunghe pause per mangiare, indossava i sandali e non gli scarponi e ciononostante aveva un passo spedito e deciso. Guardarlo camminare era uno spettacolo, si era affezionato a noi giovani del gruppo e ci superava sempre, lasciandoci indietro a boccheggiare: arrivava sempre per primo a destinazione. Amava parlare con tutti e teneva con sé un’agenda, di quelle che davano un tempo gli istituti bancari. L’agenda conteneva le mappe di tutti gli stati del mondo, e ad ogni pellegrino chiedeva di segnare su una di esse il luogo da dove proveniva: era meticoloso, precisissimo. Quando arrivò il mio turno, sfogliando quelle pagine vidi centinaia di punti, con nomi e date, corrispondenti a tutti i suoi incontri. Mi raccontò che una volta aveva rincontrato una donna brasiliana conosciuta sul cammino e le aveva mostrato il suo luogo di provenienza, segnato anni prima. Ricordava tutti. 
Arrivati a Santiago, volle offrire a tutti una ciotola di caldo gallego, la zuppa tipica galiziana, e ci disse che quello percorso con noi era stato il più bel cammino della sua vita. Quando gli chiesi perché continuava a tornare in Spagna ogni anno mi rispose che ancora non lo sapeva, che c’era qualcosa nel cammino che continuava a sfuggirgli e questo continuo andare era forse la sua ragione. L’anno successivo era di nuovo lì. Purtroppo ho perso i contatti con lui e ammetto di non avere il coraggio di scrivergli perché non vorrei scoprire che non c’è più. Per quello che vale, preferisco pensare che sia ancora sulla strada a cercare la sua ragione.

Curiosità: il tuo peggior difetto mentre sei in cammino? La cosa per cui è meglio che starti alla larga. E poi: come si sfama un italiano in Norvegia?
Per me la prima domanda è collegata alla seconda, nel senso che la fame è l’unico aspetto che riesce a fermarmi mentre sto camminando. Tendo a far coincidere sempre le pause con un pasto e a spezzare gli intervalli con una barretta energetica o un frutto perché quando ho lo stomaco vuoto sono di pessimo umore, sono scontroso e non ho energie per andare avanti. Personalmente sono sopravvissuto con panini, dolci e frutta, concedendomi pochissimi pasti caldi, anche perché i supermercati sono spesso distanti dagli alloggi quindi bisogna caricarsi sulle spalle la spesa per diversi chilometri. Al contrario in certi posti vengono serviti cene luculliane a base di pesce e arrosti di carne e patate, oppure colazioni continentali infinite, con salumi, yogurt, uova, cereali e formaggi. La pasta è praticamente sconosciuta, ma si può attingere a tante particolari bontà. E senza scrupoli. Il bello del cammino è anche questo: non si mangia mai abbastanza. Lo dico per esperienza: ingozzandomi di cibo a volontà, e camminando per trenta chilometri al giorno, sono tornato dalla Norvegia con sei chili in meno. 
Un altro difetto invece è proprio legato alla scrittura. Nella dimensione solitaria riesco a gestire il tempo e a trovare a fine giornata lo spazio per dedicarmi ai miei appunti ma, in gruppo, percepisco che quell’intervallo va rivolto giustamente agli altri, alla condivisione e all’ascolto, quindi mi ritrovo a dover recuperare quei momenti successivamente, spesso dimenticando e confondendo gli eventi. Ho risolto tramite il supporto tecnologico: registro le mie riflessioni e le trasferisco su carta in un secondo momento. In questo modo posso restare nel presente e vivere a pieno le emozioni del cammino.

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  • Terre di mezzo

    Terre di mezzo editore è una casa editrice fondata a Milano nel 1994.
    Pubblica ogni anno più di 100 titoli. Tra le collane principali ci sono: L’Acchiappastorie albi e narrativa per bambini e ragazzi, i Percorsi a piedi e in bicicletta, I Biplani, racconti di grandi autori illustrati da artisti di fama, i manuali creativi delle Ecofficine.
    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

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