Sono due anni che Milano brucia: 278 incendi dolosi tra gennaio 2011 e ottobre 2012. In 121 casi le fiamme hanno avvolto immobili, mentre per 157 volte sono stati presi di mira degli automezzi. Secondo il Comitato antimafia della Giunta Pisapia, un gruppo di esperti presieduto dal professor Nando Dalla Chiesa, sono gli effetti di una lotta per il controllo del territorio. Le organizzazioni criminali si stanno spartendo quartieri e attività commerciali. Gli equilibri sono cambiati, infatti, dopo il luglio 2010, quando l’operazione Crimine-Infinito ha portato all’arresto di più di 300 persone.
“Smettiamola di dire che gli incendi non sono intimidazioni – ha esclamato Dalla Chiesa ad un incontro organizzato dai Giovani democratici di Busto Arsizio, in provincia di Varese -. Siamo al paradosso che ormai i giudici di Milano per dare il reato di associazione mafiosa (il 416 bis, ndr) devono essere convinti che ci siano parentele, non bastano uso della violenza e controllo del territorio”. Per Dalla Chiesa gli incendi sono un primo termometro della presenza delle cosche. Sminuirne l’importanza significa non accorgersi degli equilibri che cambiano.
C’è chi però non è del tutto d’accordo con Dalla Chiesa. “Ma come dobbiamo leggere questi dati? Potrebbero essere il segno che meno gente paga, o che si sta rompendo l’omertà, oppure che c’è un’offensiva delle organizzazioni in corso. Servirebbero dei riferimenti storici per comprenderli”, commenta Stefano Caneppele, del centro studi Transcrime. Un buco statistico che nemmeno le denunce possono colmare. Troppo basse per essere indicative: darebbero un’immagine sottostimata e sbiadita delle infiltrazioni mafiose.
C’è però un altro elemento che invece conferma quanta attenzione meritino gli incendi alle attività commerciali: la tipologia dei beni confiscati in Lombardia. Il 25,6 per cento è composto da ristoranti o alberghi, contro una media nazionale del 9,9 per cento. Il settore fa gola in pianura Padana più che in ogni altro luogo d’Italia.
A Milano, è stata la zona 7 la più colpita dagli incendi dolosi (26 casi), seguita dalla zona 8 (21) e dalla zona 9 (10). Quest’ultima è considerata un feudo dei Flachi, clan ‘ndranghetista colpito dall’inchiesta Redux-Caposaldo, con cui è emerso che il clan gestiva ad esempio il racket dei “paninari” (vedi post precedente).
Ma se ci si sposta fuori dalla città, questa correlazione “zona ad alta mafiosità” e incendi scompare. A Buccinasco, “la Platì del nord”, comune del milanese dove il movimento terra era monopolio dei Barbario-Papalia, ci sono stati solo due episodi. Invece nella striscia di pianura Padana tra Milano e Lodi, da sempre considerata a bassa infiltrazione, sono andate a fuoco discariche, piazze ecologiche, impianti di trattamento rifiuti, escavatori, mezzi speciali. Da San Zenone al Lambro a Sant’Angelo Lodigiano, da Casalpusterlengo a Ospedaletto lodigiano, sono una decina gli episodi registrati tra 2010 e 2011. Anche lo smaltimento dei rifiuti è un business che fa gola alle mafie, tanto che gli episodi hanno spinto la Direzione distrettuale antimafia di Milano ad aprire un’indagine. E anche in questo caso l’origine dell’investigazione è la stessa: il fuoco appiccato per mano di sconosciuti.
Dal blog di Lorenzo Bagnoli “Mafie in lombardia”, 1.07.013, link qui.
In foto: il chiosco bruciato di Loreno Tetti, l’imprenditore che non voleva pagare il pizzo al “clan dei paninari” (link all’articolo del 7.09.012)