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Il piccolo diavolo

La maratona di New York. Un documentario per la mostra di Venezia. E poi chissà che altro. Federico Villa non è Alex Zanardi, ma come lui sa sognare in grande.  Ventisei anni, da sette vive in simbiosi con la sua handbike: una bici a tre ruote come quella che l’ex pilota di formula 1 ha spinto verso due emozionanti medaglie d’oro alle ultime Paralimpiadi. A Londra Federico non c’era “Convocazione mancata”, scherza-, ma il 4 novembre sarà a New York  per partecipare alla maratona più prestigiosa, dove l’anno scorso proprio Zanardi ha trionfato fissando il nuovo record in un’ora e 13 minuti. Un grande appuntamento per il quale Federico si allena da mesi, pedalando mattina e sera con la forza delle sue braccia. Perché si può sognare in grande anche con l’atassia di Friedreich, la malattia degenerativa, per ora senza cura, che lo costringe su una carrozzina.


Che cosa significa poter partecipare a uno dei più importanti eventi sportivi al mondo?
Solo il fatto di essere al via è per me motivo d’orgoglio: i pettorali della maratona sono stati assegnati in inverno, con diversi mesi d’anticipo, e non era facile ottenerne uno.

Perché?
Dopo aver fatto richiesta, gli atleti disabili devono ricevere l’invito ufficiale di una onlus americana, che si occupa della selezione. Valutano la storia personale e sportiva di ogni atleta, ma sono stato fortunato: a parte Zanardi che ha vinto l’anno scorso, i posti a disposizione per gli italiani erano solo tre.

Non sarà stato l’unico ostacolo, vero?
No, tutt’altro: le spese di viaggio e soggiorno non sono uno scherzo, tanto più che non è il momento migliore per trovare sponsor. Per recuperare i 3mila euro necessari ho aperto un blog: faccio raccolta fondi e intanto condivido questo progetto un po’ folle. Voglio dimostrare che una persona con atassia può raggiungere obiettivi importanti, con tenacia e impegno.

Qualità che non ti mancano, a giudicare da quello che hai pubblicato sul tuo blog. È vero che ti sei allenato per tutto agosto al Lido di Venezia?
Sì, nei mesi più caldi di solito noi handbiker ci fermiamo, ma questa volta, con New York in testa, ho deciso di continuare a darci dentro. Così da Monza -dove vivo- sono andato fino al Lido, a pedalare su e giù tra le calli, nei luoghi dove passavo l’estate da bambino. All’inizio, per un paio di settimane sono stato da solo, tranquillo, ad allenarmi, guardare il mare e andare in giro per Malamocco. Poi sono arrivati mio fratello Alex e un po’ di amici e allora mi sono goduto l’estate in compagnia.

Anche New York è legata alla tua infanzia…
Vero: ci sono nato e cresciuto fino ai cinque anni, perché allora mio padre lavorava negli Stati Uniti. Non ricordo molto della città, ma nei miei pensieri è rimasta un posto quasi mitico. E questa è stata una ragione in più per provare a fare la richiesta.

Che atmosfera ti aspetti di trovare?
Più di tutto fatico a immaginare quale sarà la mia di “atmosfera”: sono qui a chiedermi in continuazione: “Ce la farò?”. E non sono un problema i 42 chilometri, di maratone ne ho completate parecchie. Il punto è che partecipare non mi basta: mi sono dato l’obiettivo di chiudere in un’ora e 40 minuti. Per come sono fatte le strade laggiù, non sarà facile.

L’handbike è molto costoso rispetto ad altri sport?
Dipende dalle scelte dell’atleta: che tipo di attrezzature usa, a quante corse partecipa, quante volte la settimana si allena. Per me, ogni anno se ne vanno circa 4 mila euro. La spesa principale è quella per le trasferte, in Italia e all’estero: hotel, benzina, autostrada. Poi, visto che mi alleno praticamente ogni giorno, non è da trascurare la manutenzione della bici: solo i tubolari costano tra i 60 e 90 euro, e noi di ruote ne abbiamo tre…

Ci sono molte gare riservate agli handbiker?
Sì, c’è un calendario abbastanza fitto. In Italia le corse sono una quindicina l’anno. In più, da tre anni esiste anche un Giro d’Italia con dieci tappe tra aprile e settembre, la maggior parte al Nord: in questo 2012 ho partecipato a tutte e dieci e per un bel po’ sono stato anche maglia rosa. E poi c’è il circuito europeo Ehc, con otto gare tra Francia, Italia, Svizzera, Germania e Repubblica Ceca: io ne ho fatte cinque, arrivando ottavo nella classifica finale.

Fra trasferte e allenamenti, riesci a lavorare?
Il tempo ci sarebbe, ma per il momento ho deciso di dare tutto allo sport. L’atassia di Friedreich è una malattia degenerativa: il mio fisico perde un po’ del suo vigore di anno in anno. Insomma, avrò tempo per lavorare quando sarò costretto a smettere con l’handbike. Per ora ho la fortuna di essere seguito da qualche piccolo sponsor.

Pensi di poter essere un modello per gli altri?
No, non mi sento un esempio. Ogni tanto faccio anche cose che non sono troppo indicate per una persona con atassia: una bevuta con gli amici, una sigaretta… E credo che fare sport ad alto livello non sia una ragione sufficiente per essere considerato un modello: i campioni da seguire sono altri.

Per esempio?
Gli oltre 5mila ragazzi italiani con la mia stessa malattia, molti dei quali con un’invalidità più grave eppure capaci di stringere i denti e vivere la sfida più dura: quella con la quotidianità.

Tra loro c’è anche tuo fratello Alex, che ha cinque anni più di te. Il fatto di condividere la malattia con lui ti aiuta o ti spaventa?
Alex è il mio specchio: guardandolo mi rendo conto di come e dove arriverò, anche se l’atassia è una malattia soggettiva e ognuno risponde in modo differente. Detto questo, non ho dubbi: lui è la mia forza, il suo coraggio mi spinge ad andare avanti, a superare i miei limiti. E poi è grazie ad Alex che ho scoperto l’handbike.

In che modo?
Lui per primo ha iniziato a gareggiare e poi ha creato il nostro team, i “Piccoli diavoli a tre ruote”. Grazie alla bici, riusciamo ad affrontare la malattia facendoci quattro risate.

Lo sport vi aiuta anche dal punto di vista fisico?
Assolutamente sì. Soprattutto tenendo conto che oggi non esistono cure per attenuare o ritardare gli effetti dell’atassia. Questo per noi è l’unico modo per rallentarne un po’ il corso e sentirci meglio: l’handbike mi sta dando un fisico più tonico e muscoloso, ma anche una maggiore autostima e una diversa consapevolezza di ciò che posso fare.

E una volta ritornato dall’America?
Mi concentrerò sul documentario che sto realizzando insieme al mio grande amico Gianmaria Spavento, che fa il videomaker. Lui mi ha seguito negli allenamenti e in tutta la preparazione; una parte dei video che abbiamo realizzato sono già pubblicati sul blog. In inverno poi monteremo tutto il materiale che abbiamo raccolto e l’avventura diventerà un film che presenteremo alla prossima mostra del cinema di Venezia. O almeno, ci proviamo. (“Magari -penso, ascoltandolo- per l’Italia è la volta buona”).

A causa dell’uragano Sandy, la maratona è stata annullata. Ma potete continuare a seguire le imprese di Federico sul suo blog.

Testo: Stefano Rizzato
Foto: Gianmaria Spavento

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    I primi grandi bestseller sono stati la guida al cammino di Santiago de Compostela e La grande fabbrica delle parole, di Valeria Docampo.
    Negli ultimi anni ha portato in Italia le serie di Dory Fantasmagorica e Cane Puzzone, ha pubblicato più di 40 guide ai cammini italiani e ha dato alle stampe i testi di Paolo Cognetti e Erri De Luca impreziositi dalle illustrazioni di Alessandro Sanna, e di Wislawa Szymborska con Guido Scarabottolo, e Claudio Piersanti con Lorenzo Mattotti.

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